CALATANIXECTA
SERVANDA EST
(Caltanissetta deve essere salvata)
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MULINO- PASTIFICIO F.LLI SALVATI:
IL PRIMO E … L’ULTIMO
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QUANDO CALTANISSETTA……….
SI AVVIAVA AD DIVENIRE CITTA’ INDUSTRIALE,
COME ACCADEVA IN TUTTO IL REGNO DELLE DUE SICILIE, ADOTTANDO TUTTE LE INNOVAZIONI TECNOLOGICHE DEL TEMPO.
PREMESSE QUESTE AVVIATE CON SUCCESSO IN PERIODO BORBONICO E………ANDATE AVANTI PER FORZA D’INERZIA … E MAN MANO SCEMATE CON L’UNITA’ D’ITALIA ……. FINO……… A SPARIRE DEL TUTTO CON LA REPUBBLICA
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Giuseppe Saggio
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terza parte
Mi scuso, ancora una volta per il ritardo per questo nuovo appuntamento, dovuto sempre per motivi tecnici e o per la mia scarsa dimestichezza con questo tipo di attrezzature , spero di darvi altre notizie al più presto.
Le foto sono di Giuseppe Castelli, le cartoline sono tratte dalla mia collezione.
Si ringrazia la sig.ra Maria Arcadipane, proprietaria della "Torre", per la disponibilità dimostrata e aver permesso di fotografarala.
Si ringrazia la sig.ra Maria Arcadipane, proprietaria della "Torre", per la disponibilità dimostrata e aver permesso di fotografarala.
…….Continua…..
TORRE COLOMBAIA
Il Mulino fu costruito nel XIX sec., attorno ad una preesistenza, della quale è rimasto un avanzo, che si distingue a malapena.
Una costruzione nelle pareti della quale sono ricavate delle celle colombaie.
Questa costruzione, passata nel dimenticatoio per secoli, in quanto non presenta vistose e appariscenti tracce architettoniche perchè considerata una costruzione di campagna dove era consuetudine lasciare nei sottotetti spazi per “allevare” i colombi.
Immagine recente, dove è visibile la canna fumaria e a destra il pluviale in plastica bianca. |
Caratteristiche peculiari queste, che ritroviamo simili in altri monumenti sicuramente datati come quelle nel convento dei Tre Re, nella torre araba a S. Spirito, (sec. X-XIII) e la torretta dell’Aquila Nera, (sec XV -XVI), ecc.
Non indico altri esempi perché successivi (cosiddetta torre del Magistrato, torretta del primo convento dei cappuccini-Averna,a ecc.) e non comparabili con la nostra costruzione.
Finestra ad arco ogivale |
Particolare di una cella colombaia ad arco ogivale con tamponatura sagomata e ripiano in terracotta (pianelle). |
Si può pertanto pensare ad un proprietario committente di alto lignaggio (che le ricerche potranno indicarci) che si poteva permettere un direttore dei lavori di alto livello come un præpositum ædificiorum.
Non bisogna scordare che spesso nel Regno di Sicilia esisteva un corpo di funzionari regi, i protomaestri, preposti alla realizzazione degli edifici demaniali. Erano gli architetti di stato i cui ruoli esistevano fin dal XII sec, sotto la dinastia degli Altavilla. Volendo semplificare con drastica sintesi si può affermare che alle tipologie tradizionali delle torri di difesa (castrum donjon) si aggiunse l’apporto della spazialità dell’architettura dei conventi cistercensi, per la proposta sempre più complessa delle forme miste sino al suo trionfo finale , come è dimostrato dalla complessità dei resti del convento dei Tre Re -Villa Barile Castelletto, del portale e dalla bifora sull’ingresso (prima dei “restauri” datato XII sec.), delle aperture dell’Abazia di S. Spirito (datati al XI) sec., compreso il portale esterno, prima che venisse rimosso durante lavori di “restauro” effettuati.
CONFRONTI CON ALTRI ESEMPI DATATI
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Portale d'ingresso e sopra la "bifora" di "Villa Barile (Castelletto -Convento dei Tre Re?) con intonaco originale in gesso; sono visibili i "resti" per la stesura dello intonaco. Prima dei "restauri" |
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particolare della "bifora" nel quale si evidenzia il fornice tamponato |
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Stesso particolare dopo i “restauri” dove è stata totalmente coperta dall'intonaco, un fornice della "bifora" |
Dalla parte del giardino si vedono due esedre con feritoie con all’interno lo sguincio ad arco ogivale; nell’esedra di dx (NE) si trova un’apertura ad arco ogivale, all’interno più grande; alle estremità, verso la strada, si osserva che le esedre sono state tagliate e concluse con tratti di mura retti e ad angolo retto raccordati con l’attuale muro di contenimento, proseguito poi verso il torrione ottocentesco; tra le due esedre e in corrispondenza del predetto muro di contenimento , sulla strada, di trova un torrione circolare con tracce di feritoie in corrispondenza del muro stesso;
Immagine di villa Barile con i primo piano il Convento dei Tre Re prima dei “restauri” dove sono visibile le aperture ad arco ogivale |
Queste caratteristiche di torre dove sono ricavate delle colombaie, sono da ritenersi un unicum del genere in Sicilia, considerato che l'unico l’altro esempio noto, si trova a Trapani dove con il nome di “Torre Colombaia” si identifica una antica torre, che quando era stata abbandonata, divenuta rudere, era quindi il posto ideale pei i colombi per nidificare o sostare, infatti secondo alcuni, questa torre trae il suo nome da una leggenda che la vuole sosta privilegiata di questi uccelli, durante le migrazioni, prima di affrontare lo sforzo della traversata del mediterraneo verso l'Africa.
La sua antichissima origine è attribuita ad Amilcare Barca, al tempo della prima guerra punica.
.Successivamente anche se riutilizzata in vari modi, da faro a carcere ecc ha mantenuto il nome con il quale era conosciuta, pertanto non nata con tale scopo.
Da queste leggendarie origini, nasce il famoso detto popolare: "cchiù vecchiu di la Culummara di Trapani", per indicare qualcosa di molto antico.
Questa torre colombaia, dell'ex mulino Salvati, rappresenta un’importante testimonianza della presenza dell’uomo sul territorio nisseno. Le torri colombaie venivano costruite dai proprietari terrieri come simbolo del loro potere e erano per loro motivo di vanto e orgoglio.
Le torri colombaie caratterizzavano visivamente il paesaggio considerato che nel nostro territorio non ci sono altre tracce (esistono nelle masserie e nelle case di campagna delle celle in alcune pareti per l'allevamento ad uso familiare).
Da sempre c’è poco interesse nei confronti di queste costruzioni a causa della loro precaria situazione strutturale e della scarsa informazione sul loro valore culturale. Questa incuria le rende da sempre soggette a demolizioni e ad adattamenti inconsueti da parte dei proprietari ignari del loro effettivo ruolo attivo nello studio antropologico del territorio.
Le torri colombaie quindi, sono entrate nel dimenticatoio comune dal momento in cui hanno perso la loro funzione originaria di struttura per l’allevamento dei colombi selvatici.
In effetti le Torri Colombaie hanno rappresentato per secoli una ricca fonte economica nel campo della agricoltura e sono state da sempre considerate segno tangibile del potere personale ed economico dei grandi proprietari terrieri e dell’alto ceto nobiliare e della Chiesa.
La maggior parte delle Torri Colombaie, infatti, era in grado di ospitare centinaia di coppie di volatili in altrettante nicchie appositamente ricavate nello spessore delle sue mura interne. Da questi semplici dati si può ben immaginare quanto queste strutture fossero redditizie e quindi ben volute.
È difficile oggi comprendere l’importanza che aveva nell’economia locale l’allevamento di questa specie di uccelli in quanto nel corso degli anni sono cambiate le abitudini alimentari della popolazione.
Un tempo la carne di colombo era un alimento molto apprezzato e ricercato nella dieta alimentare dei nisseni in quanto ritenuto fonte di grandi proprietà nutrizionali. Veniva dato ai bambini, agli ammalati e agli anziani, ne facevano un largo consumo soprattutto le classi sociali medio alte, durante le grandi occasioni e le cerimonie ufficiali, tanto che gli venne dato il nome di “carne reale”.
Generalmente la Torre Colombaia era strutturata in modo da raccogliere anche gli escrementi prodotti dai colombi, sostanze utilizzate come fertilizzante naturale del terreno in quanto ricche di colombina, un ottimo concime a base di azoto di origine animale, utilizzato anche nella concia delle pelli.
Sappiamo infatti che a Caltanissetta è documentata l’attività di conciatore, che in qualche modo si potrebbe definire –industriale- già dai primi del ‘500, infatti sappiamo di tre concerie una sotto la rocca di Sallemi, l’altra a Ziboli e una terza della quale resta il toponimo nel quartiere S. Francesco, appunto via Piccola conceria.
“Così abbiamo figure e famiglie di spicco che impiegano i loro capitali in questo tipo di impresa: nel 1517 il nobile Imperio Inserra vende 62 pelli di ariete a mastro Antonio e Nicolò de Sillitto per tarì 1,50 ciascuna; e nello stesso anno mastro Lorenzo de li Pichuni compra dal nobile Jacopo de Rifrigiato “coyri di sola et agnolatorum” conci, per onze 5,20 (ASCl, Not. B. Boccaccio, reg 236, del 18 aprile 1517 e del 16 maggio 1517).
Sappiamo che “…intorno al 1571: i mastri Pietro e Cosimo de Turi di Castrogiovanni si obbligavano a costruire sotto la rocca di Sallemi, una conceria di cui venivano precisate le misure, con il suo fossato di scolo (ASCl, Not. G. B Maddalena, reg 11, c. 1003 del 31 luglio 1571).
Nei riveli del 1593 la conceria di Sallemi, valutata 250 onze, apparteneva a Pietro Venegas che l’aveva comprata poco tempo prima, da Geronimo Stilla. (ASP, T.R.P, Reveli, reg, 105, 1593, c. 224. all’interno della conceria vi era pellame valutato per 200 onze, mentre ancora Geronimo Stilla aveva, nella sua casa, 60 “coiri conzati”).
La conceria funzionava ancora nel 1635 in quanto i giurati ordinarono che mastro Raffaele Falci, che teneva in governo l’acqua di lo Bagno, facesse una conduttura nuova dall’abbrivatura di Sallemi sino alla conceria (ASCl, Not. F. La Mammana, reg 380, c. 144 dell’agosto 1635).” –Rosanna Zaffuto Rovello “Caltanissetta Fertilissima Civitas 1516 – 1650” pgg. 152-53
Le Torri Colombaie si possono dividere in due tipi principali, a seconda della loro forma: a pianta quadrata a pianta circolare, costruite seguendo lo schema delle più conosciute torri di avvistamento costiere delle quali riprendono addirittura caditoie, feritoie e merli di coronamento.
Le Torri Colombaie a pianta circolare hanno in media un diametro di 25 metri e un’altezza di un decimo superiore alla circonferenza. Questo rapporto crea una struttura massiccia e tozza, in quanto manca lo slancio verso l’alto, sviluppando un volume in larghezza.
Le Torri Colombaie quadrangolari, pur mantenendo la stessa ampiezza, sono invece più basse e più rudimentali anche nei decori.
Tra le diverse singolarità ricordiamo che molte torri a primo piano presentavano locali adibiti ad abitazione o deposito, o altre costruite sopra ai trappetti.
Inoltre come segno distintivo accanto alle Torri Colombaie vi era quasi sempre una riserva d’acqua, che serviva per l’abbeveraggio dei volatili. Queste fonti erano costruite in modo tale che ci fosse sempre acqua pulita e si potesse sfruttare con appositi accorgimenti tutta la superficie della vasca per permettere l’approvvigionamento d’acqua al maggior numero di uccelli contemporaneamente.
Oggi in seguito all’abbandono delle masserie anche le Torri Colombaie si sono svuotate, non rimane che ricordarne il loro antico prestigio e iniziare un’opera di recupero e valorizzazione in qualità di patrimonio storico.
Nelle Torri Colombaie, utilizzate solo a questo scopo, innanzitutto non vi sono porte o finestre a piano terre, esse sono completamente murate, fino ad un’altezza di 2-4 metri . L’accesso è dato da una scala a pioli che porta al primo piano. I marcapiano hanno in genere una notevole sporgenza dai 20 ai 30 cm indispensabile per impedire a rettili e roditori di intrufolarsi all’interno dell’edificio per mangiare le uova dei colombi. Anche i merli, quando realizzati con intento decorativo, servivano per far posare i colombi al loro arrivo o alla loro partenza dalla torre.
Discorso diverso per il vano interno della torre colombaia che presenta una strutturazione unica e particolare. Tutto il perimetro interno veniva infatti rivestito da un paramento di pietra dello spessore di mezzo metro e oltre. Ogni blocco di roccia era alto circa 20 centimetri e largo 27, tra una pietra e l’altra veniva lasciato più o meno uno spazio largo quasi quanto il masso in modo da creare, nella sovrapposizione a scacchiera dei blocchi lungo tutto il muro, delle nicchie per le coppie di colombi.
Ogni nicchia veniva poi chiusa all’esterno in modo da creare un ambiente interno protetto.
Delle scale interne che servivano agli allevatori a controllare l’allevamento nicchia per nicchia.
Delle scale interne che servivano agli allevatori a controllare l’allevamento nicchia per nicchia.
Particolare di una delle pareti dove sono ricavate le celle colombaie ad arco ogivali, è visibile il taglio per ricavare una finestrella |
Particolari delle celle |
Resiste ancora il residuo di una canna fumaria realizzata con tubi di terracotta (catusi), mentre il pluviale realizzato con gli stessi “catusi” è stato di recente rimosso per essere sostituito da uno moderno in pvc.
Pertanto la costruzione svettava al centro della valle costellata di puntare e grotte, utilizzate per diversi scopi.
Tra questi utilizzi bisogna ricordare che due di queste sono state utilizzate come cappelle:
una è-ra quella costruita nel luogo dell’apparizione di S. Michele, “Posteriormente all’apparizione, fu fabbricato nel luogo stesso ov’era la grotta una piccola Chiesa detta San Miceli (e San Micieli) così tutt’ora nominata: l’altare fu fabbricato proprio nel sito della grotta. In essa recavasi ogni anno il Clero nella processione delle Rogazioni. Nel principio di questo secolo cominciò ad essere abbandonata, si che si rovinò il tetto. Nella Breve storia citata (ms. del Segneri) si ha: la chiesetta poi essendo quasi diroccata, nel 1837 il popolo avendo implorato la protezione di S. Michele, vide con grata sorpresa che pochissimi morirono di cholera: e perciò fu fabbricata a spese della città (del popolo) nello stesso sito una chiesa più grande e più elegante….” N. Diliberto, Apparizione di S. Michele Arcangelo in Licata ed in Caltanissetta (1624-25) – nota 8 pag. 44.- F. Pulci, Lavori sulla Storia Ecclesiastica di Caltanissetta p.367
Dai recenti restauri, che hanno liberato i muri laterali della chiesa, dall’intonaco che li ricopriva, portandoli la muratura a vista.
Guardando attentamente il laterale della chiesa ho notato che la muratura non è omogenea, infatti nella parte bassa ha una tessitura più disordinata con al centro le tracce di un arco; da questi elementi posso affermare che questo lacerto di muratura appartiene alla cappelletta originaria del XVII sec. costruita a chiusura della grotta, con la facciata e il portale lungo la vecchia trazzera delle calcare, (che conduceva al conventino di S. Antonino lungo l’attuale via due Fontane, da tempo trasformato in abitazioni), dopo l’abbandono, come detto nel documento precedente, si rovinò il tetto, e successivamente, quando si decide di ingrandire la chiesa nel 1837, non potendola allungare, perché si trovava davanti la trazzera e la puntara, hanno pensato di ingrandirla lateralmente potendo utlizzare maggiormente lo spazio, costruendo la facciata come fondale della trazzera che saliva e realizzando un sagrato con muretto che lo delimitasse, si utilizza così la muratura della facciata originaria, come laterale della nuova chiesa che avrà la facciata rivolta ad est.
Guardando attentamente il laterale della chiesa ho notato che la muratura non è omogenea, infatti nella parte bassa ha una tessitura più disordinata con al centro le tracce di un arco; da questi elementi posso affermare che questo lacerto di muratura appartiene alla cappelletta originaria del XVII sec. costruita a chiusura della grotta, con la facciata e il portale lungo la vecchia trazzera delle calcare, (che conduceva al conventino di S. Antonino lungo l’attuale via due Fontane, da tempo trasformato in abitazioni), dopo l’abbandono, come detto nel documento precedente, si rovinò il tetto, e successivamente, quando si decide di ingrandire la chiesa nel 1837, non potendola allungare, perché si trovava davanti la trazzera e la puntara, hanno pensato di ingrandirla lateralmente potendo utlizzare maggiormente lo spazio, costruendo la facciata come fondale della trazzera che saliva e realizzando un sagrato con muretto che lo delimitasse, si utilizza così la muratura della facciata originaria, come laterale della nuova chiesa che avrà la facciata rivolta ad est.
Una situazione simile l’ho riscontrata nel 1992, quando, nella qualità di Direttore dei lavori di restauro della chiesa di Santa Flavia intervenendo nella parete esterna della chiesa ad ovest (lato via Card. Dusmet), dopo la demolizione del campanile in cemento armato aggiunto negli anni '50, la presenza di alcuni elementi anomali quali un portale in pietra tufacea murato, due finestre simmetriche riquadrate come il portale, un occhio, pure tamponato, sopra il portale, la traccia delle falde di un tetto, mi hanno indotto ad una più accurata ricerca e lettura della stessa muratura per avvalorare la mia teoria secondo la quale tutti questi elementi, sono tipici di una facciata di chiesa orientata a ponente. E quale chiesa poteva essere se non quella di Santa Venera risparmiata ed utilizzata come muro laterale della nuova chiesa di Santa Flavia orientata a mezzogiorno?
La presenza del contrafforte, del campanile prima, e di due altre aperture tamponate, realizzate in tempi successivi, rompevano l'unitarietà della parete e non ne permettevano la corretta lettura.
La presenza del contrafforte,che taglia la facciata, è giustificata dalla necessità di contrastare la spinta che l'eccessiva mole della nuova chiesa esercitava in questo punto, essendo il muro troppo sottile (cm.80) per poterla assorbire.
Della chiesa di S. Venera abbiamo l’ordine di pagamento per Maseo Drago, importante mercante del ceto emergente, che chiede ai Giurati della Città un ulteriore compenso come "lucro e commodo personale" per la "maramma" di Santa Venera; (ASCL, Not. A. Naso, reg. 1, c. 175r del 3 luglio
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Incisione tratta dal giornale “Le cento città d’Italia - Supplemento mensile illustrato del Secolo” di lunedì 25 aprile 1892. In basso a destra, in primo piano si vede il mulino Salvati, riconoscibile dalla forma e dalle fasce bicolore. A sinistra la puntara con la forra a ridosso della trazzera per Palermo (oggi via Sallemi) e il pianoro dove oggi si trovano le palazzine INCIS. Sulla linea d'orizzonte, in alto a sinistra la chiesa e il monastero benedettino di S.Flavia, a centro la chiesa di S. Agata al Collegio, a destra palazzo Moncada e il Carmine. Il palazzo al centro e le abitazioni accanto corrispondono a v.le Testasecca |
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Particolare del la foto storica del mulino dove sono visibili le caratteristiche fasce bicolore, e la puntara a destra |
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Particolare dell'incisione dove è chiaramente identificabile il mulino, con le caaratteristiche fasce. |
Particolare della puntara residua dietro i palazzi di via Sallemi |
L’altra grotta era quella della Madonna della Rosa che si trovava poco più avanti ”Sulla roccia a destra della via che va alla chiesa dell’apparizione di S. Michele (S. Miceli) in campagna, s’innalza la prospettiva di questa chiesuola nella parte anteriore edificata e nella posteriore incavata nella roccia in fondo alla quale era dipinta sul muro l’immagine della Vergine che dà una rosa al Bambino. Una vecchierella chiedeva l’elemosina ai passanti per accendervi la lampada. Fu dopo il 1840 mutata in chiesuola……” F. Pulci, Lavori sulla Storia Ecclesiastica di Caltanissetta p.260.
Accanto a alla torre si sarà sviluppato uno dei tanti mulini che erano disseminati in questa zona (dalla Gazia a Palmintelli possiamo datare intorno al XV -XVI sec.) che proprio per questo si ha preso il nome di contrada Centimoli. (note rosse)
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particolare della mappa IGM, con rilievi del 1865-67 con il nome della contrada. |
I mulini ad acqua non ebbero infatti nel Medioevo ed in età moderna un particolare sviluppo in territorio di Caltanissetta; certamente non lo ebbero come in altri paesi confinanti o vicini, per la scarsità di corsi d'acqua perenni.
Evidentemente ciò dipese più che dalla natura dei luoghi, dal ruolo politico militare della città e dal potere che vi esercitò la presenza opprimente e monopolistica dei Moncada; infatti essi forti dello “jus prohibendi” erano proprietari di tutti i mulini, che facevano parte integrante dei beni feudali.
Specie nelle annate sterili, una delle principali preoccupazioni dell’università, dominata dai Moncada che facevano fortuna speculando sul commercio del grano, era quella di assicurare il grano sufficiente sia per il pane dei cittadini e dei soldati di presidio, sia ai coloni per poter seminare.
Così facendo i possidenti si assicuravano da una parte il controllo sociale, prevenendo il pericolo di sommosse popolari, dall’altra l’accumulazione. Essi impedivano la ribellione, la morte per fame o la fuga dei coloni, eventi che si sarebbero ripercossi sull’economia della città, lasciando i campi sfitti, desolati e incolti. Una volta ottenuti raccolti sufficienti, tramite la concessione dei terreni, il cappio dell’usura ed il prestito delle sementi, ai quali i coloni avevano dovuto sottostare per potersi alimentare e coltivare, era assicurato al principe ed agli altri grandi proprietari come il clero.
Perciò, subito dopo una raccolta scarsa, i governanti fissavano la quantità di grano che necessitava sia per assicurare il pubblico pane della piazza fino al nuovo raccolto, sia per poter seminare. Essi procedevano quindi al “ratizzo”, a ripartire cioè il fabbisogno di grano per la città tra i mercanti, i quali dovevano fornire a seconda della quantità racchiusa nei loro magazzini.
L’attività molitoria era regolata e tassata dall’università ed il governo cittadino, dominato dal secreto dei Moncada che favorì la proprietà e lo sviluppo di centimoli, per uso proprio, per produrre farina per conto di terzi e per rifornire le pubbliche panetterie.
L’esistenza di mulini “centimoli” solo dentro le mura, se da una parte era condizione importante per un vettovagliamento anche in caso di assedio, dall’altra dava l’occasione alla nobiltà locale di esercitare il controllo della farina; monopolio che sarebbe subito venuto meno nel caso che sul territorio civico avessero potuto operare i mulini ad acqua, ben più potenti e convenienti dei centimoli.
Il centimolo, almeno fino alla fine del Cinquecento, faceva parte integrante della dimora signorile.
Esso era di solito situato in un basso o “catoyo” e al suo funzionamento era addetto un “molinaro” alle dipendenze del nobile.
I centimoli, piantati nei bassi delle case dei possidenti, erano utilizzati spesso evadendo le proibizioni e le tasse sulla macina.
NOTE ROSSE
Una precisazione sul regime giuridico dei mulini: l’uno quello dei molini ad acqua e l’altro quello dei molini azionati da forza animale:
Una precisazione sul regime giuridico dei mulini: l’uno quello dei molini ad acqua e l’altro quello dei molini azionati da forza animale:
- I molini ad acqua, in quanto tali possano rientrare nella categoria degli iura ragalia: “non dubium est…universa huius Siciliæ ultra Farum regni molendina et paratoria acquarum ex antiquis regni eiusdem statuti set consuetudini bus perpetuo observatis, ad ius tarenorum septem et granorum decem anno quolidet Regie Curie pro saltu acquarum ipsarum in perpetuum teneri” scriveva nei primi del secolo decimo sesto Giovan Luca Barberi (I feudi del Val di Mazara a cura di G. Silvestri in Documenti per servire alla storia di Sicilia –Società Sic. di Storia Patria), s.I, XII (Palermo 1888), p. 597).
- -Diversa la situazione giuridica dei mulini azionati da forza animale, per l’impianto dei quali non risulta fosse necessaria una particolare licenza e che godevano di fatto di esenzione fiscale nei confronti della gabella della macina, sempre che si trattasse di attrezzature destinate ad esclusivo uso familiare (cosa che permetteva a molti contribuenti di evadere con facilità).
Va ricordato che nel linguaggio dei documenti siciliani, i mulini azionati da forza animale vengono indicati per lo più con il termine della bassa latinità centimolus. Il territorio che si estende-va dal torrente Grazia fino a Palmintelli è-ra conosciuto appunto come Contrada Cemntimoli …perché ricca di presenze di mulini ad acqua (ricca di torrentelli), appunto i centimoli, il cui significato sembra essere, secondo il Pasqualino nel suo dizionario: “cintimulu, strumento che serve per macinare il grano biada e si fa muovere da giumenti”, o da una fantasiosa etimologia da “cintum” perrché a questa macchina si lega il mulo, o come viene spiegato nel Lexicon græcanicum Italiæ inferioris, dal vocabolo greco composto dal verbo spingere e dal sostantivo mola.
Per far funzionare un mulino tradizionale occorreva che l'acqua scorresse sempre, considerato che dalle nostre parti i torrenti sono appunto a carattere torrentizio, per cui la pioggia era l'occasione ideale per lavorare giorno e notte, con due o tre macine. Ed ecco perché i mulini si trovano sempre nei pressi di “saie” e “torrenti”.
Si cominciava a macinare verso agosto, quando cominciavano i temporali estivi e si proseguiva fino a novembre. Poi c'era una pausa che andava fino a primavera. Considerata la scarsità d’acqua, i mulini continuavano a funzionare utilizzando gli animali che facevano girare le macine, e chiaro che questa soluzione non produceva la stessa quantità di macinato ed ecco perché nel XIX sec si rinnovano con l’ausilio del vapore.
Nei primi anni dell’’800 viene emessa una delibera per l’identificazione del- Sito pella recintazione de’ centimoli.
I centimoli, all’interno dell’abitato, erano cinque di cui uno fuori servizio e precisamente due vicino il Monastero di Santa Croce e due vicino “la selva dei Padri di Santo Antonino” oltre a quello “inoperoso nella strada detta di Marrocco”.
- Delibera n. 25 del 1839 marzo 10 (A.S.CL – A.S.Comune CL – Decur. Del. - registro n. 796 – busta 802);
Si ricorda che per motivi di igiene viene deliberato dal Decurionato che è vietato l’accumularsi il fimo (fumiri, letame) nello spazio di 60 canne dal fabbricato de’ centimoli e de’ molini di questo territorio- Delibera n. 50 del 1852 giugno 11 (A.S.CL – A.S.Comune CL – Decur. Del. - registro n. 797 – busta 815);
Il pane era probabilmente anche in Sicilia genere di lusso: i pastori e i contadini pare mangiassero grano bollito (cuccia). Si ricordano i versi di Mariano Bonincontro, poeta della metà del cinquecento: E fu burgisi di burritta azzola/ chi tinia mandra e siminazva urlia/ e fina intantu ch’illu happi la stola/ lu paxxiu sempri di tumi e cuccia, (Cfr. O Coppeler Orlando, Un poeta bizzarro del ‘500: Mariano Bonincontro da Palermo, in Archivio Stor. Sic. n. s. 30 (1905),p. 51).
La gabella della macina era di grani due la salma e veniva pagata al gabelloto incaricato dal feudatario, o dall’arrendatario dello stato feudale, su tutti i frumenti che venivano portati nei mulini, tutti di proprietà dei Moncada. Ma anche chi macinava il grano con il “centimolo”, cioè con l’antica macina azionata dal mulino bendato, doveva pagare la stessa gabella.
…La gabella aumenta di anno in anno: nel 1606 è di 4 tarì per salma di frumento macinato.(ASP, Fondo Moncada, reg. 888, c 28, bando del 20 marzo 1606 del principe Antonio Moncada, che nessuno possa macinare senza la polizza a ragione di tarì 4 per salma). Nel 1617, però, la città ha accumulato tanti debiti per le tande e i donativi non pagati e i loro interessi che il principe decide di non incamerare le 500 onze che gli erano dovute dal gabelloto della macina e di farne dono alla città. “Che si non si leva hora questa gabella non la si leva più, che è la più dannosa alli populi ed è causa di spopularsi la terra ….” (ASCL, Not. G. Imperiale, reg. 986 III, c / del 16 settembre 1617. Lettera del principe Moncada ai giurati della città
Rosanna Zaffuto Rovello “Caltanissetta Fertilissima Civitas 1516 - 1650” pgg. 179-80
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Antica foto della Torrettta-altana tre-quattrocentesca dell’edificio denominato dell’"Aquila Nera",dal nome della locanda-albergo che ospitava nel XIX sec. |
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Particolare recente della torretta-altana con gli archi ogivali |
Facendo una ricostruzione della struttura notiamo che la torre si trova-va proprio sulla sponda del torrente, (quella sinistra), parallela ad esso.
La valle di questo torrente, è stata storicamente e soprattutto nel Medo Evo luogo di transito, accoglienza di pellegrini, stranieri e spiriti liberi, un posto ideale per nascondersi nelle grotte che la costellavano e caratterizzavano.
Difficoltà di accesso ed asprezza del territorio, nel X XV sec. hanno rappresentato un grave ostacolo allo sviluppo economico della valle, determinandone un notevole spopolamento ed abbandono.
Viceversa proprio a causa dell’isolamento la natura si manteneva più che altrove intatta e selvaggia.
Una valle diversa quindi, dove il silenzio e la quiete lasciavano ampio spazio alla meditazione, colture abbondanti, pascoli in fiore, torrente impetuoso, nella stagione autunno-invernale, secco in quella estiva, particolarità geologiche, maestose puntare con le sue grotte, un paesaggio di altissimo valore ambientale, dove l’uomo da sempre è vissuto in armonia con la natura, nonostante le difficoltà della vita.
Tutte le epoche hanno lasciato documenti significativi di storia e arte, come dimostrano le tombe dell’età del bronzo superstiti all’attività di cava, sino ai nostri giorni.
Ed è in questo ambiente da favola, nei suoi anfratti, nelle forre che si articola e si ambienta l’apparizione di San Michele che termina con il ritrovamento del corpo dell’appestato, fermato dall’Arcangelo, proprio in una di queste grotte .
Un capitolo molto importante rappresentato dall’architettura rustica, che evidenzia forme tipiche risultanti da influenze culturali mediterranee, dalla sicana in poi.
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Particolare con l'abbeveratoio e l'appestato |
In questa valle, l’esigenza di integrare i bassi redditi delle attività agro pastorali ha generato singolari mestieri itineranti, come i venditori d’acqua, i fogliamari, ecc
La valle aveva la forma e il pregio di essere predisposta a numerose vocazioni: ambientale, storico, culturale. In questa zona sub urbana era possibile praticare diverse attività all’aria aperta immersi nella natura ed essere alle porte della città.
È proprio grazie all’unione di questi numerosi aspetti, insieme alla fitta rete di sentieri, antiche strade mulattiere trazzere e piste a rendere la valle unica e speciale, dove risaltava questa particolare torre colombaia inserita fra le case della masseria prima e del mulino poi, con il caratteristico muro a colombage in pietrame con ossatura in legno.
All’interno di questa torre si trova una scala a chiocciola con il piantone poligonale è così perfetto e pensando al periodo nel quale è stata costruita (X-XII sec) da farmi ricordare la quadratura del cerchio, problema questo affrontato anche da Dante Alighieri (1265-1321), che nella sua Divina Commedia, lo affronta con un esplicito riferimento, ovvero alla (impossibile) determinazione, con l’uso esclusivo della riga e del compasso, di un quadrato avente la stessa area di un cerchio assegnato.
Quando ho visto la scala mi è venuto in mente “il più famoso passo matematico di Dante” che trascrivo:
Quando ho visto la scala mi è venuto in mente “il più famoso passo matematico di Dante” che trascrivo:
“Qual è ‘l geomètra ch e tutto s’affigge
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova;
veder volea come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova”
(Paradiso, XXXIII, 133-138)
La scala a chiocciola è in legno, in origine era inserita nella struttura con una parte aperta per tutta l’altezza, che formava un’asola, recentemente chiusa con muratura in blocchetti di cemento; ha un piantone centrale poligonale regolare con 15 lati (pentadecagono), con un diametro di circa m. 0,20 ed un diametro totale di circa m. 1,80, i gradini alti circa m.. 0,20, il ventaglio di ogni pedata parte con una misura di circa m.0,04, al centro di m.0,25 per arrivare alla circonferenza con m. 0,40 circa; completata successivamente fino alla muratura. Le misure sono indicative considerato che non è stato possibile rilevarle attentamente per le precarie condizioni e il deposito di oggetti e masserizie di tutti i generi.
Il piantone, in tempi relativamente recenti, è stato letteralmente tranciato per realizzare un passaggio di collegamento tra le stanze in muratura con un solaio con putrelle e tavelloni, sul quale è stato costruito un tramezzo che isola la scala e i locali ricavati nella torre, con questo taglio della scala non è più possibile accedere comodamente nella stanza superiore.
Particolare del piantone tranciato per la realizzazione del solaio |
Visione d'insieme della scala. |
Particolare della scala con la muratura di chiusura degli anni '60 con blocchetti in cemento, e il solaio con i tavelloni. |
Particolare della scala dove sono visibili le piastre in ferro di consolidamento e le sfaccettature del puntone. |
Particolare della rampa inferiore (attualmente occlusa da suppellettili e pertanto inaccessibile) dove è visibile uno degli archi di collegamento con i locali seminterrati. |
I locali che si trovano nella torre sono stati ricavati in tempi “recenti” e questo è dimostrato dalla tipologia dei materiali (putrelle in ferro e dai tiranti e chiavi che si trovano all’esterno, proprio inserite nelle celle colombaie.
Nella parte bassa, è presente anche un tratto di muratura a colombage (esterno o interno?)
L’importanza delle case con muratura “a colombage” (a graticcio):
all’origine i colori di queste case erano solo tre (bianco, giallo e rosso) poi utilizzando il cobalto sono nate anche quelle azzurre con colori derivati. In un’epoca in cui l’analfabetismo era ancora molto diffuso i colori delle case consentivano di visualizzare il mestiere degli artigiani che le abitavano:
il rosso per i mestieri sanguinari come macellai, conciatori, pellettieri, il bianco per mugnai e panettieri, il verde per i contadini, ecc.).
Erano soprattutto i conciatori di pelli e i mugnai ad abitare in questa zona perché avevano bisogno dell’acqua del torrente Palmintelli, affluente del torrente della Grazia-Fungirello che costeggiava a ovest il centro storico.
conclusioni
L’èdificio, se salvato, può rappresentare il museo di se stesso, anche senza gli attrezzi originali di lavoro, come percorso museale-didattico che documenta la cultura materiale del luogo, come parte importante della storia economica del territorio nisseno.
Questo complesso è l’ultimo esempio di archeologia industriale rimasto, dopo la demolizione degli altri mulini (vedi Sole, e non ultimo il Piedigrotta), per dare posto ad anonimi ed insignificanti palazzi.
Non facciamogli fare la fine del Piediogrotta, al quale, il pastificio Salvati ha ceduto sostanzialmente il testimone in questa ipotetica staffetta industriale.
Con la demolizione di parte del mulino si completa l’iter di cancellazione della memori storica dei Salvati, la “damnatio memoriae” infatti in questi anni è stato demolito, con “legittima autorizzazione” del Comune, e l’assoluto silenzio e disinteresse da parte della Soprintendenza il “villino estivo” della famiglia che esisteva in contrada Balate, in via padre Pio da Pietralcina, soffocato dalle palazzine popolari degli anni ’70, ed oggi sacrificato per dar posto un bel palazzone anonimo.
Non si capisce la necessità, perseguita con tenacia di costruire demolendo invece, se proprio vogliono costruire, in aperta campagna?. (ma pirchì nun muranu arrassu unni c’è largu e unni ‘un c’e nenti, ‘mmeci di allavancari i casi ca su additta?) Oltretutto in mancanza di domanda.
Vediamo infatti che i gli appartamento nei nuovi edifici, e non solo, stentano ad essere venduti.
Questi palazzinari si sono mai chiesto il perché?
Eravano circa 67.000 ab. nel 1962 quando è stato approvato il PRG Colombo, ed abitavamo tutti, o quasi, in quello che verrà definito il centro storico ad eccezione dei villaggi periferici dell’UNRA Casa e S. Barbara (già villaggio Capinto), dell'INCIS ecc.
Dopo l’approvazione del PRG, che prevedeva il raddoppio della popolazione, la città si sposta, anormalmente lungo la direttrice Palmintelli.
Ma così non è stato, Le aree individuate vengono immediatamente tutte occupate,gli appartamenti venduti sulla carta, tanto da occupare pure quelle zone chiamate AREE BIANCHE (cioè quelle che non erano state specificatamente destinate) e si sfondano, pure più volte le previsioni di piano con altrettante varianti,….. ma gli abitanti cominciano a diminuire, fino ad oggi che siamo in bilico sugli appena 60.000 (tanto da rischiare la diminuzione dei contributi e dei ....Consiglieri Comunali da 40 a 30).
Ma mentre prima era ovvio che gli abitanti ammassati nel centro storico trovassero spazi nelle nuove periferie, anche perché era il tempo del BOOM economico, oggi l'edificato supera abbondantemente le necessità e quindi le richieste, (lo dimostrano i cartelli di vendita, l'abbandono del centro storico, il diradamento delle abitazioni delle prime periferie ecc). Siamo infatti in piena CRISI ECONOMICA, il mattone oltre a non essere più un BENE RIFUGIO (vedi i dati ISTAT), non rappresenta più un investimento (dai predetti dati , i proprietari di abitazioni sono circa l’80 %, il restante 20% si divide tra chi sta in affitto e chi abita case inagibili, perché non si può permettere economicamente altro, aspettando la.... “casa popolare”).
Quindi per chi si costruisce?
Pensiamo pure al costo al metro quadro. In alcuni casi si parla già di 6000 € al mq., non considerando che già si stenta a vendere a 2500 € al mq edifici in corso di completamento, ridotti a 1700 €.
Abbiamo costruito ovunque, anche dove storicamente sapevamo che non si poteva costruire, e i risultati .....sono nelle cronache degli ultimi anni , vedi via Gori, i Vulcanelli, via Xiboli, via Redentore ecc., con i relativi danni economici e perdite di vite umane.
Gli errori non servono da insegnamento, anzi!
Il villino Salvati fu costruito nei primi anni trenta del secolo scorso, forse su progetto dell'arch. Cardella, o della sua scuola.
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vecchia immagine del villino Salvati in c/da Balate |
L’edificio, sebbene nella semplicità provinciale presentava elementi qualificanti della ricerca del suo tempo: la coesistenza e la compenetrazione di elementi geometrici solidi e piani, così vi troviamo il prisma, con aperture rette, il portico in aggetto con gli archi, agli spigoli erano smussato (come nel mulino) ed aveva le finestre accanto all’arco, come fossero una serliana, il parapetto superiore alternato con balaustri e tratti pieni, l’uso di materiali e del colore, con i mattoni pieni a vista (che rievocava i progetti romani del periodo fascista) e il colore rosso (definito da alcuni rosa antico) ormai scolorito.
Altri villini come questo sono stati progressivamente demoliti e altri rischiano la stessa fine … ma ne parleremo la prossima puntata.
Ebbene, il presente scritto, dimostra e documenta l’indiscusso valore storico, architettonico, etnoantropologico, sociale dell' edificio e chiede pertanto che si ponga il relativo vincolo perché non si perda.
Fine terza parte