giovedì 8 novembre 2012


Blog      CALATANIXECTA SERVANDA EST
                                        (Caltanissetta deve essere salvata) 




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Cappella della Sacra Famiglia a Xiboli

La Storia della Cappella
e...
la sua  
decadenza
fino all'abbandono


Un po' di Storia...
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Di Giuseppe Saggio
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Le foto sono di Giuseppe Castelli, le cartoline sono tratte dalla mia collezione.
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    La cappella dedicata alla Sacra Famiglia, si trova in via Ziboli, all’altezza del civico 226, part. ? del foglio 93. Le dimensioni sono d circai m. 3 x 3, si trova all’interno del vincolo paesaggistico della Media Valle del Salso o Imera Meridionale, ufficializzato con D.A. n. 7732 del 09.10.1995, pubblicato sulla G.U.R.S. n. 61 del 25.11.95,  e sottoposta a Vincolo di interesse etno-antropologico, ai sensi della L. 1089/39  con D.A. 5096 del 18/01/96, assieme alle altre 4 cappelle che si trovano lungo la via Ziboli che costituivano il percorso dei minatori.

    Sebbene vincolata, come detto, la cappella è stata lasciata nel più assoluto abbandono tanto che tratti della volta, a causa delle infiltrazioni d'acqua, prima la parte verso la facciata è crollata, ora si è staccata dalla parete di fondo.
     Tutto questo sotto l'assoluta indifferenza degli Enti preposti, dei proprietari, e dei cittadini.
    Più e più volte segnalata, alle autorità competenti anche ai politici, la scusa addotta è che non si chi sa chi sia il legittimo proprietario, allora... la facciamo crollare? e poi piangiamo lacrime di coccodrillo!!! Questo atteggiamento ha portato, se è vero (?), a che si asportassero l'intero pavimento maiolicato. 
    Se è così nessuno si è accorto che qualcuno stava smontando un pavimento? Per smontare un pavimento si fa rumore, come è possibile che nessuno abbia sentito?
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La Facciata
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   In origine era una costruzione isolata prospiciente la strada, come si evince dal rilievo visuale della via Ziboli del 1887 dall’Ingegnere di Finanza Dal Lago Carlo;
particolare rilievo visuale della via Ziboli del 1887 dall’Ingegnere di Finanza Dal Lago Carlo;

dicitura e firma del rilievo visuale della via Ziboli del 1887 dall’Ingegnere di Finanza Dal Lago Carlo;

   Con il tetto ad unica falda verso la facciata, che sicuramente nel secolo scorso XIX  è stata rifatta dandogli la caratteristica di chiesa concludendola con un muretto d’attico a forma di timpano triangolare che nasconde la gronda della falda del tetto che scarica-va nell’angolo dx. con la tradizionale “canalata”.
Facciata cappelletta Sacra Famiglia in via Xiboli, visibile il degrado cui versa.

   La facciata è contornata da rifasci ringrossati ad intonaco bianco che segnano tutto il perimetro e definisce il timpano e il portale con arco a tutto sesto. Il colori usati sono il bianco per i rifasci e il rosso pompeiano per i fondi, colore questo che indica e rappresenta la santità e la gloria dello Spirito Santo,..
   Oggi in completo stato di abbandono, dopo essere stata “fagocitata”, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, dalle costruzioni accanto, fasi chiaramente visibili, fino ad inglobarla completamente.
    Da quello che mi è dato sapere, la proprietà  è sempre stata conflittuale, considerato che detta cappella, non sembra avere una particella catastale autonoma, ma risulta graffata con la strada, pertanto di proprietà pubblica, anche se da sempre, è  stata gestita dai proprietari delle costruzioni vicine.
  Dopo essere stata fino alla prima meta del XX sec, uno dei 5 punti di riferimento dei minatori che si recavano a lavorare nelle miniere, e dopo semplice posto di preghiera della comunità vicina e degli operai e clienti del quartararo e del trappito (frantoio) della famiglia Cortese, che ne curavano la manutenzione e la gestione.

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cappellette lungo la via Xiboli: 
1 Cappella delle Anime del Purgatorio, in dialetto:  L’armi o priatò  Verso la fine dell’800 venne trasformata in una cappella da servire come anima ardente per gli sciagurati che morivano nelle miniere. Fino al 1983 resistettero i vasi acroteri in ceramica verde abbattuti dal vento.
Cappella dedicata alla Madonna dei Peccatori col Bambino o del Perdono, È ricavata in una grotta prospiciente la via a cui è stata attaccata, nella parte esterna, un prospetto molto semplice realizzato con blocchi  squadrati, l’ingresso ad  arco con ai lati incise due piccole croci, 
3 Cappella detta di S. Michiluzzo di Pirreri. . Si trova vicino alle miniere.Nei primi anni del secolo vi si celebrava ancora la festa, allietata dal suono del tamburo tipico di tutte le nostre feste popolari, del tempo passato
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  La storia della Cappelletta dedicata alla Sacra Famiglia, lungo la via Xiboli. contariamente alla tradizione che la vuole del XVIII secolo, affonda le sue radici nel medio evo, individuando nelle grotte e nelle sottostanti abitazioni nel "Casale Montis Sanctis Spiriti de Calathanaxecta diocesis agrigentinae paga per XII case habili e nel 1376 risultano ancora 12 fuochi mentre Caltanissetta ne ha già 660.come si rileva dallo scritto di Salvina Fiorilla: nel suo “SANTO SPIRITO TRA LATIFONDO E ABBAZIA: 
   “ Secondo alcuni studiosi il territorio di Caltanissetta in epoca tardo antica faceva parte di un grande latifondo abitato da più nuclei di popolazione. Uno di questi nuclei doveva essere quello di contrada S. Spirito, esso a differenza di altri potrebbe avere avuto una certa continuità di vita nel tempo. Al riguardo si può concordare con gli studiosi che hanno considerato come indizi dell’esistenza di un abitato in contrada S. Spirito l’urna cineraria del I sec. d.C. dedicata a Tito Flavio Augusto Diadumeno da parte della figlia Vittorina, ritrovata nell’area circostante l’abbazia e attualmente conservata nella chiesa e il busto marmoreo fratello di Caracalla, ritrovato al piano della Clesia a pchi km da S. Spirito. È stato ipotizzato inoltre che in età romana la contrada facesse parte di una grande proprietà forse dei Petilii o dell’imperatore, proprietà che nel tempo potrebbe essere stata sostituita da una massa legata alla chiesa. Il bollo PHILIPPIANI ritovato al Piano della Clesia ed attestato anche a Geracello nell’ennese potrebbe contribuire a confermare l’esistenza di un latifondo di grandi dimensioni entro il quale circolavano i laterizzi contrassegnati dal bollo citato. Certamente le fasi romana e tardo antica meriterebbero ulteriori approfondimenti ed è auspicabile che nuovi dati possono venire dalle ricerche condotte in anni recenti dalla soprintendenza di Caltanissetta.
Non è ancora chiaro sulla base dei dati noti come e in che misura l’abitato di contrada S. Spirito sia giunto fino all’età musulmana ma e certo che in epoca normanna nell’area esisteva un casale che i sovrani sottoposero al controllo dell’abbazia di S. Spirito. (...)
Si può ritenere che già qualche anno dopo la “Ecclesia Sancti Spiritus iuxta Calatanixectam in dyocesi agrigentina cun suo casale et ominibus” sia stata concessa all’abbazia di Monte Sion di Gerusalemme, se è vero che essa compare in un documento del 1179, tra i beni che papa Alessandro III conferma all’abbazia di Monte Sion di Gerusalemme stabilendo che quedam animalia ipsius Ecclesie libera habeant pascua, aquarum potationes per totum tenimentum Calatanixecte predicte et cum omni iure parochali et integris decimis parochialorum. (Rocco Pirri 1733, II, pp. 1336-1337; White 1938, p. 360; Collura 1960, n.33, p. 82). Nel documento la chiesa è posta in primo piano e gode dei diritti di pascolo su tutto il territorio e dei diritti parrocchiali, il casale invece è considerato escusivamente come un elemento economico annesso anche se pare essere un abitato indipendente da quello di Caltanissetta. Sembrerebbe quindi che l’attenzione sia concentrata sull’importanza della chiesa.
   La chiesa di S. Spirito manterrà i diritti parrocchiali fino al 1255 quando, ad opera di Federico II, le sue decime passaranno a S. Maria degli Angeli, la chiesa sorta, qualche anno prima, in prossimità del castello e divenuta parrocchia, ma continuerà a riscuotere le decime sul territorio quanto meno fino al 1282, quando Re Pietro da poco insediatosi in Sicilia ordina a Bernardo de Ferro, regio giustiziere nel val di Girgenti, di proteggere contro qualsiasi molestia frate Stefano priore e procuratore della chiesa di S. Spirito di Caltanissetta nella percezione dei proventi della chiesa esistenti nel territorio. La comunità di S. Spirito è menzionata, invece nello stesso periodo, in un documento con il quale il re condona le esazioni delle collette dei sussidi e dei diritti di masseria, marmeria e legnami che si dovevano alla curia e raccomanda ai sindaci di versare la somma dovuta con urgenza alle comunità di S. Spirito e Darfudi (un altro casale nel territorio) come a quelle di “Delia, Caltanissetta, Licata, Modica e Comicchio”. Ancora agli inizi del ‘300, nel pagamento delle decime ai Collettori papali, l’abbate di Monte Sion de Jerusalem solvit pro ecclesia S.Spiriti once V, tarì XXI, grana VIII ossia poco meno di quanto versa il presbiter Johannes per la chiesa di S. Maria (S. Maria degli Angeli) che è ormai parrocchiale; evidentemente le due chiese hanno rendite simili. Più tardi nel 1366 il casale Montis Sanctis Spiriti de Calathanaxecta diocesis agrigentinae paga per XII case habili e nel 1376 risultano ancora 12 fuochi mentre Caltanissetta ne ha già 660. Considerando la vistosa differenza nel numero dei fuochi, ossia dei nuclei familiari paganti, pare evidente che S. Spirito paga per il patrimonio di cui dispone. Fa riflettere poi il fato che nel documento del 1366 viene introdotta, per la prima volta, l’espressione casale Montis S. Spiritus che può essere interpretata in due modi; potrebbe riprendere e duplicare il concetto di Monte Sion con Montis S. Spiritus, oppure potrebbe far riferimento ad un abitato, sito in posizione elevata, che in questo punto non sarebbe più contiguo all’abbazia ma ubicato nei dintorni. Se così fosse, avremmo la prima indicazione certa dell’ubicazione del casale nel ‘300. (...)
Cappella e ex case Cortese
  Sicuramente l'Università, fece costruire un’edicola votiva dedicata alla Sacra Famiglia proprio nel luogo in cui oggi si trova. In quegli anni il contado di Xiboli, Scopatore, Stammedda ecc., così chiamati rispettivamente dal latino ex polis (fuori città), ex moenia ( fuori le mura), era una via di passaggio per molti viaggiatori, ma per l’assetto del territorio era un luogo che banditi e malviventi privilegiavano per depredare quanti l’attraversavano. 
   Per tale motivo si era diffusa la fama che Xiboli fosse un luogo malfamato, tanto che nel luogo della Stammedda, fino all'inizio del XX sec. era divenuta discarica pubblica dove scaraventare le carcasse degli animali morti. 
    Forse fu per questo che per porre fine a tale nomea l'Università fece costruire la cappella e fece collocare un dipinto su ardesia della Sacra Famiglia, perché la borgata fosse protetta. Da quel momento la tradizione ci ha tramandato fatti prodigiosi e una grande diffusione della devozione alla Sacra Famiglia. Tanti erano i devoti che sostavano dinanzi all’edicola votiva per pregare e che vi si recavano in pellegrinaggio. Questi fatti fecero accrescere la devozione alla Sacra Famiglia, tanto che si dovette trasformare la piccola edicola in una cappella capace di accogliere i pellegrini e i residenti. Era inoltre luogo di devozioni dei minatori che vi si fermavano a pregare perchè la Sacra Famiglia custodisse la loro. 
Interno della cappella , dove è visibile il degrado e l'abbandono. oggi la volta è distaccata e quasi crollata
   La pianta della cappella è di forma pressoché quadrata di circa m. 3,50 di lato con un’altezza di circa m. 3,00 con volta a botte, leggermente schiacciata.

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Il Pavimento
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Pavimento in maiolica raffigurante un'aquila con lo stemma della Città, forse trafugato.
   Trascrivo una mia relazione che ho preparato quando svolgevo servizio presso il Museo della Ceramica di Caltagirone:
    "Il pavimento  della chiesetta della Sacra Famiglia in via Xiboli a Caltanissetta, ormai semidiruta ed abbandonata, che, se non per la sua unicità, per le sue particolari caratteristiche merita di essere conosciuto.
Rilievo visuale della via Ziboli del 1887  dove sono segnati tutti gli stazzoni
  Esso e-ra tutto in maiolica, che per le caratteristiche ritengo della prima metà del sec. XVII, realizzato secondo alcuni a Caltagirone, secondo me è di produzione locale, in quanto Caltanissetta fino al secolo scorso, secondo la bibliografia di settore, era una delle principali città ceramiche della Sicilia, forse in tono minore e “rustico” ma competeva con le più rinomate Caltagirone, S. Stefano di Camastra, Sciacca, Burgio ecc. e come testimoniano l’ingente quantità di stazzoni, indicati nei catastali di fine ‘800 e le diverse cartoline d'epoca. 
Interno di un laboratorio per le stoviglie



Immagini  diverse di stazzoni di stovigliai e cretai
I lavoratori della creta che venivano chiamati Figuli o Cretai,  facevano parte della Maestranza, ed erano talmente tanti che dopo il 1860 i Tegolai che si staccarono dai Cretai...."Gli artigiani,che formano la nostra R. Maetranza, sono: 1.  pastai,  2.  muratori,  3.  fabbri, magnani o stagnini, 4.  falegnami e stipettai,  5.  calzolai,  6.  barbieri, 7.  cretai o artefici di vasi fittili e tegolai." (Biagio Punturo,"LA MAESTRANZA" Caltanissetta 1899 –pag.42 ).

    A questi però, si dovrebbero aggiungere i sarti, i quali, anni addietro, non si sa per qual causa, non vollero più far parte della Maestranza. Il loro posto, però fu occupato da' tegolai, i quali, volendo costituire una compagnia a sè, si divisero dai cretai.”... (Il Giovedì Santo in Caltanissetta Usi, Costumi, Tradizioni e Leggende Raccolti Descritti ed Illustrati da Michele Alesso - Caltanissetta 1903).

   I cretai critara- pignatara  avevano come santo protettore S Francesco di Paola ed avevano il proprio oratorio nella chiesa del santo (oggi impropriamente chiamata S. Calogero), mentre i tegolai                        non avevano un santo ma la bandiera con una croce in campo rosso.


   La decorazione del pannello era realizzato in manganese per il disegno, che era a sua volta colorato dalle  tracce in verde ramina, azzolo, ocra ecc, (almeno dalle tracce visibili dalle foto d’epoca –anni 80, 90) considerato lo stato avanzato d’usura. 
Particolare della pavimentazione dove sono ancora visibile le tracce dei colori; verde ramina, azzolo, giallo ocra ed  il disegno in manganese.
 Senza tema di sminuire la sua organicità, tale pavimentazione poteva considerarsi una bella antologia di motivi maiolicari della epoca,  che rendevano assai vivo il contrasto con la colorazione in manganese dominante nella maiolica. 
   Ecco perchè la semplicità della rappresentazione delle mattonelle, fra l’ornato, nelle bordure o sul nudo smalto bianco, mi fa pensare che è stata realizzata dalle locali maestranze di allora, forse facenti parte di quelle confraternite che avevano la grande devozione cittadina verso la Sacra Famiglia raccoglieva continuamente in quella chiesa per le funzioni, per le implorazioni e soprattutto per la folkloristica festa che si celebrava ogni anno a fine anno, con l’intervento di tutta la cittadinanza e delle autorità civili e religiose.
   Forse le mattonelle del pavimento non sono tutte della stessa epoca, ma vanno, secondo lo stile riscontrato, dalle immagini fotografiche, dai primi decenni del sec. XVII al principio del secolo successivo – e quelle più tarde si trovano collocate all’entrata della cappella -, è da supporre che alcune mattonelle siano state rifatte nella seconda metà del ’700, probabilmente in concomitanza  con il rifacimento del prospetto principale.
  Anche altri dati ci inducono a ritenere avvenuta nei primi decenni del ’600  l’esecuzione delle più antiche mattonelle della chiesetta. Infatti affiorano in esse motivi decorativi propri delle fabbriche  del tempo.
   La caratteristica principale riscontrata è l’uso del manganese su fondo bianco abbinato all'uso dei colori vede ramina e giallo ocra, azzolo.  
   La decorazone rappresenta-va un grande cartiglio, del quale non si può trarre la forma, all’interno del quale un’aquila con le ali spiegate che con gli artigli regge un nastro con la presumibile scritta CALATANIXECTA216 
Particolare del cartigli o dove è visibile la presumibile scritta CALATANIXECTA2… 16 

   Sul petto lo scudo sannitico con lo stemma civico del castello a tre torri. 
Scudo sannitico con stemma della città: castello a tre torri

   In basso sembra esserci una colomba.che simboleggia lo Spirito Santo."
Particolare della pavimentazione con la colomba

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Il Quadro
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Una pietra (dipinta) che vi stupirà.

Su marmo o alabastro, le prove dei pittori che temevano la deperibilità delle tele


Il dipinto su pietra (alcuni dicono alabastro, altri ardesia) dell’ex cappella dedicata alla Sacra Famiglia, oggi è conservato nella chiesa di S. Spirito, o al Museo diocesano, dopo che “qualche angelo” lo ha sottratto da una sicura appropriazione indebita (come sembra essere successo al pavimento!!!???) o a sicuro danneggiamento da parte di vandali.
Lastra in alabastro con la Sacra Famiglia

Dipinto che vi stupirà. Questo tipo di opere d' arte era molto diffuso tra Cinque e Seicento, opere su marmo, ardesia o alabastro, erano le prove dei pittori che temevano la deperibilità delle tele.
Si tratta di uno splendido dipinto su alabastro (?), realizzato da ignoto artista sicuramente databile tra la seconda metà del Cinquecento alla prima metà del Seicento.
Le opere di questo tipo erano dipinte, come detto, su supporto lapideo, più  o meno prezioso: dalla semplice lavagna nera, detta pietra di paragone, al marmo e all'alabastro ecc.
La pittura su pietra, nota sin dall'antichità e ripresa a Roma nel Cinquecento, deve la sua fortuna al concetto d'eternità dell' opera d' arte. Artisti come Sebastiano del Piombo o Pietro Bembo erano convinti che questa tecnica pittorica, essendo priva di preparazione e grazie al supporto inalterabile, fosse inattaccabile dai tarli, dall'umidità, e quindi indistruttibile. 
Nelle chiese, e perfino nella basilica di San Pietro, molte tele furono sostituite da lastre d'ardesia. Peccato però che l' eternità della pittura fosse in contrasto con l' estrema fragilità dei supporti, così, delle numerose grandi opere presenti negli antichi inventari, sono rimasti solo pochi esemplari.
In questo tipo di opere, il buio della pietra tende a dare alla scena alta drammaticità.
Fortunatamente, in questo campo non esistono quasi falsi, si ha notizie solo di pochissime evidenti contraffazioni.
È invece difficile trovare pietre intatte e il restauro della pietra spaccata è purtroppo irrealizzabile: la fenditura balza immediatamente all'occhio. Ormai le opere di questo tipo sono diventate sempre più rare. 
A Caltanissetta abbiamo altre opere simili tra tutte il quadro della Madonna delle Grazie, che il can. Francesco. Pulci cita a pag .420, nel suo libro"LAVORI SULLA STORIA ECCLESIASTICA DI CALTANISSETTA, pubblicato postumo 1977":
Quadro della Madonna delle Grazie
 “Un fatto storico (63) rivestito da circostanze leggendarie dava origine all’erezione della chiesa e poi convento degli Agostiniani Scalzi o Eremitani.   Avendo nel 1677( deve intendersi 1617) il rinomato pittore Pietro Novelli inteso il Monrealese dipinta su lastra d’ardesia l’immagine di Maria SS. della Grazia per commissione avutane da Caltanissetta, la confidò a certo Ippolito per portarla fra noi dovendo collocarsi sulla torre de’ Piazzi, che sorgeva al principio della nostra città nella parte occidentale. L’Ippolito che era da Piazza, arrivato al luogo destinato, venendo meno all’incarico decise portarla in Piazza sua patria, ma il mulo provvidenzialmente ricalcitrando, non volle andare più avanti e comunque battuto stette cadendo poi a terra. Allora l’Ippolito cercò di salvare l’immagine se non che questa scivolò dalle sue mani e battendo al suolo si ruppe in sette pezzi. Al fatto accorse molta gente, la quale visto il bel  quadro spezzato ed il mulo caduto a terra chiese il motivo di tal danno. L’Ippolito messo alle strette confessò ai maestri Angelo Vasapolli e Marco Turchio il suo fallo e lasciando l’immagine cavalcò il giumento e proseguì senza altro il cammino per la sua patria. Si raccolsero allora i pezzi della lastra e s’incollarono con diligenza su tavola levigata  (64) e mentre il Turchio attendeva l’immagine col vino per togliere ogni residuo di colla dalle giunture gli sembrò che i capelli del Bambino cominciarono ad ondeggiare e sventolare come se fossero posti in movimento da un’aura soave. Ciò vedendo cessò di lavare l’immagine stimandosene indegno.
L’immagine fu collocata in una nicchia preparata nella vicina roccia. Sparsasi fulmineamente la fama dell’avvenuto fatto in città fu un accorrere di popolo per ammirare e venerare la Vergine e la divina Madre in segno che tornava gradito l’ossequio dei figli operò de’ prodigi colla guarigione d’infermi afflitti da varie malattie. Il Segneri ne enumera alquante ed aggiunge la notizia di una sorgente miracolosa scaturita ne’ pressi della cappella, la quale per qualche tempo si mutò in sorgente di olio prodigioso.
Affluirono allora delle vistose elemosine per le grazie varie che si ottenevano dai fedeli e queste furono così abbondanti da animare i devoti alla esecuzione d’una chiesa in onore della Madonna della Grazia. Questa cominciata nel 1620 fu compiuta in pochi anni e la festa fu stabilita d’allora in poi il giorno 2 luglio”.
Note
63 Questa storia viene tolta dal ms del Segneri e dal Programma documentato della storia di Caltanissetta pubblicato da Falduzza;
 64 La rottura come abbiamo osservato personalmente avvenne fortunatamente in basso su quasi un terzo del dipinto. 
 La patertinà del Novelli (figlio) è comunque dubbia, ma non impossibile, considerato che nel 1617 (data segnata lateralmente a sinistra sulla lastra) il giovane aveva solo 14 anni, essendo nato nel 1603.  
In origine il Santuario Madonna della Grazie era posto al di fuori dell’abitato, oggi si trova inglobato nelle fabbriche del convento. Il complesso si affacciava  sul vallone detto del Canalicchio dove scorreva il torrente omonimo che era scavalcato da diversi ponti (ricordiamo i più importanti di S. Lucia- oggi davanti la scuola- del Canalicchio poi della Grazia – oggi tratto di v.le Testasecca),  oggi interrato e trasformato in cloaca massima.
Particolare del catastale del 1878 con la chiesa della Grazia, in basso è visibile la fonte pubblica e il torrente del Canalicchio
Prima lungo la riva e poi sullo slargo davanti la chiesa, a ridosso della strada per Palermo  si trovava un abbeveratoio e fonte pubblica che esistette fino alla fine del secolo XIX.
La chiesa, trovandosi in posizione elevata rispetto alla strada è-ra  collegata da una monumentale scala in pietra a doppia rampa, purtroppo anche questa demolita e  sostituita da  un’altra  in calcestruzzo che crea un portico sopra l’ingresso del convento (molto probabilmente parte della scala originale sarebbe interrata nel bastione per la strada.
Particolare della Chiesa della Grazia con lo scalone a doppia rampa
Cartolina con la chiesa della Grazia e sottostanti casotti
del Mercato all'ingrosso e scala di raccordo con la strada .











All’interno la chiesa è sovrastata da volta a botte decorata con stucchi. Sull’altare maggiore si conserva il quadro della Madonne delle Grazie all’interno di una raggiera dorata.

Quadro Sdella Madonne delle Grazie entro raggiera dorata.

Dei dipinti d’ardesia del Novelli, raffiguranti la Madonna delle Grazie conoscevamo l’esistenza di sei copie conservate in chiese di Caltanissetta, Cerami, Sclafani Bagni, Aidone, Licata e Modica, alle quali ora bisogna aggiungere il dipinto della chiesa della Salute di Castelvetrano, che presenta evidentissime affinità stilistiche e formali con le copie già note.

Particolare dell'interno della cappella con il quadro ancora in sito
Nella cappella in una nicchia a misura, incavata sulla parete sopra l’altare era collocata la lastra, che raffigura la Sacra Famiglia,  dove si vedono Maria seduta col Bambino e san Giuseppe in piedi, col capo canuto e col bastone,con la tipica barba.
La pittura è molto degradata, e la descrizione si basa su foto d'epoca, non mi risulta che sia stato restaurato.
 I tre personaggi si scambiano sguardi in un gioco studiatissimo di rimandi incrociati, con un tono di pensosa malinconia. Giuseppe sembra corrucciato mentre guarda il Bambino, così come Maria sembra presa da una rassegnata premeditazione del destino tragico del figlio. Gesù ha come un gesto di ritrosia voltandosi verso la madre, che sembra accennare una carezza con la mano.
Studiatissima ma estremamente naturale appare la teoria di gesti e sguardi dei protagonisti, che si concatenano in un insieme chiuso.
Molti dettagli, a partire dalla fisionomia del Bambino, la sua torsione, e l'acconciatura della Vergine e altri dettagli stilistici, rimandano al predetto dipinto della Madonna delle Grazie, che come detto deve essere attributo ad Antonio Pietro Novelli padre, considerato l’anno di realizzazione 1617, il figlio aveva 14 essendo nato il 2 marzo del 1603, confermando una datazione simile tra la fine del XVI e il primo quarto del XVII sec, 1625 anno della morte.
La data 1617 nel dipinto della Modonna delle Grazie di Pietro Novelli
Ancorato agli schemi della pittura devozionale e controriformistico di fine Cinquecento, entro i canoni tardo manieristici ampiamente diffusi in Sicilia, Pietro Antonio Novelli, continuerà, nonostante i veti artistici dettati dal Concilio di Trento, a ripetere quel modello di Madonna delle Grazie, pervaso da estrema dolcezza e straordinaria intimità, che servirà da modello, al suo più famoso figlio per l’altra Madonna delle Grazie, realizzata per la chiesa di San Giovanni Battista di Castelvetrano, nella quale il Novelli junior ha saputo filtrare dall’iconografia, tante volte ripetuta dal padre, una struggente bellezza e un sentimento religioso pervaso di umana pietà.
Questo dipinto, malgrado le trasformazioni, le ridipinture subite nel corso dei secoli e le ingiurie del tempo, possiamo legittimamente per le caratteristiche intrinseche attribuire, con grandi margini di sicurezza a Pietro Antonio Novelli padre, pittore non particolarmente talentuoso come il figlio, ma artista, mosaicista, indoratore e soprattutto uomo “acculturato”, come testimonia il lascito  testamentario un centinaio di libri.
Questo dipinto realizzato per questa cappella che deve essere stato commissionata dall’Università  (come allora si chiamava la municipalità) considerato che nel pavimento si trova-va  l’aquila con lo stemma civico, è questo è consentito solo al detentore proprietario, nella quale lo sconosciuto pittore ha saputo filtrare dall’iconografia, tante volte ripetuta dal Novelli, una struggente bellezza e un sentimento religioso pervaso di umana pietà.
L'artista ideò la scena sacra impostandola secondo i nuovi schemi iconografici dettati dall’arte classica, seguendo il gusto vigente nella scuola pittorica siciliana dell’epoca, infondendo nei personaggi un aspetto misto e amalgamato di aulico misticismo e profonda umanità. 
L’artista dipinse tre personaggi disponendoli sulla lastra in maniera composta ed equilibrata, nonostante le dimensioni ridotte della superficie.
L'immagine della Sacra Famiglia
Fulcro della composizione è il Bambino Gesù,  adagiato sulle ginocchia della Madre. La sua nudità raffigura l’intera rivelazione di Dio fatto uomo, in cui tutti i misteri di Dio vengono svelati e resi percepibili anche alla fragile umana natura. Il dipinto vela una leggera malinconia nel volto del Divin Pargolo, che volge teneramente lo sguardo verso la Madonna. Essa, avvolta da un manto blu a figurare la sua umanità rivestita dalla divinità, è seduta con la testa  leggermente inclinata, tiene stretto a se il Bambino dolcemente con la mano destra e quasi trattiene invece con la sinistra il braccio destro, come a voler proteggere il frutto del suo seno dal destino a cui sarà soggetto e al quale anche Lei parteciperà. Con il volto sereno e rassicurante, guarda amorevolmente il Figlio.
Accanto, ma sembra scostato da essi, come a sottolineare la completa estraneità al concepimento di Gesù, la possente figura del Patriarca San Giuseppe, che contempla ammirato la bellezza della Sposa, mirando in Lei i misteri degli Inizi della Redenzione Divina a cui anche lui è stato reso partecipe. Il Custode del Redentore sembra quasi pronto ad inginocchiarsi di fronte al mistero di Dio fatto uomo. Il leggero isolamento della sua figura, rimanda alla sua evangelica muta obbedienza alla volontà di Dio, dettata dalla Giustizia del suo animo. L’ampio manto ocra si avviluppa sulla veste chiara. Tali colori rappresentano la duplice natura di Cristo, Dio e uomo, e l’arduo compito di Giuseppe in quanto custode di Dio fatto uomo e della sua Madre. Giuseppe In posizione arretrata con la mano sinistra regge il bastone, simbolo iconografico di predilezione all’ufficio di Sposo di Maria. Il volto sebbene con lineamenti giovanili, esprime serenità e maturità.
L'espressione di Giuseppe è turbata. Questa sua ansia, viene alleviata dal Bambino che lo rassicura donandogli un sorriso. Gesù conscio della presenza di Dio, non ha paura né teme alcun male. Anche Maria, pervasa da serenità, stringe a se il Figlio come avesse il presagio della sua partecipazione al Venerdì Santo sul Golgota e con questo atto d’amore è come se Lo volesse sottrarre a quel supplizio che dovrà subire.
La sua nudità raffigura l'intera rivelazione di Dio fatto uomo, in cui tutti i misteri del Padre vengono svelati e resi percepibili anche alla fragilità della natura umana, riluttante, che preferirà rimanere nelle tenebre dimostrate dall'oscurità che impera nello sfondo del dipinto. Le aureole dorate sono come uno spiraglio di luce, che sovrasta anche Maria portatrice della Grazia e strumento di Dio per farsi carne. È bello notare nel Bambino la simbologia del Dio-Uomo, infatti, da un lato notiamo la sua umanità nel fatto che Maria lo regge con la sua mano, e dall'altro lato la sua divinità a motivo del suo braccio destro, che si aggrappa al velo della Madre, quasi benedicente.

A sinistra, in primo piano si vede la Vergine Maria avvolta in un manto blu, simbolo della sua divinità, e da una veste rossa, metafora della sua santità. La vergine Maria regge il Figlio sulle sue ginocchia avvolto da un telo bianco. ed accanto a lei è raffigurato San Giuseppe. L’artista ha voluto indicare che il potere viene solo ed unicamente da Dio, che pur essendo invisibile, è divenuto presente nel mondo attraverso suo Figlio nonostante le tenebre del peccato.
La luce nel dipinto e come se "piovesse"  dall'alto ed  illumina i personaggi, per consacrare la funzione della famiglia cristiana, prima chiesa domestica.
Sebbene di fattura meno nobile le anologie sono sorprendenti:  
Particolare del volto della Madonna delle Grazie

Particolare del volto della Madonna
delle Sacra Famiglia

   
 Confrontando i volti della Madonna dell’immagine di quello della Grazia (che sappiamo essere del 1617, data scritta sulla lastra lateralmente a sinistra) e quello della Sacra famiglia, sono visibili  diverse similitudini, direi sovrapponibili, per cui è pensabile, sen proprio lo stesso autore, qualcuno che ha copiato. 
La stessa inclinazione del volto verso dx, sebbene la madonna nella sacra famiglia sia girata verso sx; i capelli divisi e raccolti vero dietro, lasciando libero l’orecchio; il velo sopra la testa con le stesse pieghe; il taglio del naso e degli occhi
Particolare della mano destra
della Madonna delle Grazie
Particolare della mano destra  della Madonna 
delle Sacra Famiglia



  






La mano della Madre che tiene il Bambino, con la identica “deformazione di posa”;

Particolare del volto della Madonna 
delle Sacra Famiglia




















la mano sinistra della Madonna con la stessa posa;

La mano dx del Bambino che si aggrappa al velo del vestito della Madre, 
nel quadro della Madonna delle Grazie






Particolare della mano dx del Bambino che s strattona il velo della
Madonna, nel
la Sacra Famiglia



























La mano dx del Bambino che si aggrappa al velo del vestito della Madre, così il Bambino della Sacra Famiglia, strattona il velo della Madonna, anche i volti e i ricci dei capelli sono simili.



Confronto fra le due immagini