Blog CALATANIXECTA SERVANDA EST
(Caltanissetta deve essere salvata)
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(Caltanissetta deve essere salvata)
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VIAGGIO
a / da
CALTANISSETTA
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IN UN BREVE PERCORSO FERROVIARIO
tra passato, presente e ……
…..prospettive future:
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attraverso immagini e…
BUON VIAGGIO!!!
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1^ PARTE
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Mi scuso, ancora una volta per il ritardo per questo nuovo appuntamento, dovuto sempre per motivi tecnici e o per la mia scarsa dimestichezza con questo tipo di attrezzature, spero di darvi altre notizie al più presto.
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Mi scuso, ancora una volta per il ritardo per questo nuovo appuntamento, dovuto sempre per motivi tecnici e o per la mia scarsa dimestichezza con questo tipo di attrezzature, spero di darvi altre notizie al più presto.
Le foto sono di Giuseppe Castelli, le cartoline sono tratte dalla mia collezione.
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Presentazione.
La necessità di recuperare la memoria storica delle città
attraverso le antiche vie di comunicazione, dalle trazzere alla
ferrovia, città della quale riteniamo di sapere tutto ma della quale conosciamo
molto poco e si rielabora sostanzialmente la solita storia.
Né è nata così in me la voglia di mettere tutto in
discussione, questa ricerca che, nelle mie intenzione, vuole essere l’inizio di
approfondimento su questo tema, tutto sommato affascinante, perché propone la
conoscenza di un ramo del sapere che sino ad ora è rimasto sconosciuto.
E d’altronde il recupero dell’identità storica della città,
da me portato avanti sin dall’Università e dal ruolo come Dirigente della
Soprintendenza ai Beni Culturali, Ambientali, passa da alcuni indizi e anche
attraverso la riscoperta dei tracciati delle antiche vie, prima semplici
sentieri adatti alla transumanza, e poi percorse nei millenni da tutti i popoli
che si sono avvicendati sul grande palcoscenico dell’altipiano nisseno.
Quando, alla fine degli anni
sessanta, dopo la maturità scientifica, ho lasciato Caltanissetta, per frequentare
la facoltà di Architettura dell’università “La Sapienza” a Roma, l’ho portata
con me negli occhi, nelle orecchie, nel naso,
nella gola, nel tatto, ma soprattutto l’ho portata nel cuore, dove vive-va
la sua immagine, il suo parlare, i suoi odori, i suoi suoni, la sua tattilità
insomma tutto che rappresenta-va la mia infanzia e la mia adolescenza, in una
parola il linguaggio, inteso come relazione, di una cinquantina di anni fa.
L’ho custodita come un vero tesoro
pur tra lo studio appassionato dell’architettura classica e moderna che in una città come Roma
certo non manca, creando nella città eterna, a casa mia, una sorta di Ambasciata Nissena, come qualcuno
l’aveva definita, perché i paesani che mi venivano a trovare si sentivano,
forse per le immagini, per i cibi ecc. come se fossero come per incanto
nuovamente catapultati a Caltanissetta.
Ho studiato architettura in una città
dove questa è di casa e fin da allora con questa ho fatto sempre confronti,
spesso improbabili e improponibili, ma sempre possibili, tanto da richiedere ed
ottenere (anche se non proprio quella che avevo in mente e volevo, appunto per
l’ignoranza dei docenti in materia che conoscevano a menadito Bagdad, Teheran,
Il Cairo, e molte città orientali ma non conoscevano Caltanissetta, che
qualcuno pensava addirittura, fosse in provincia di Enna) la tesi proprio su
Caltanissetta, laureandomi con indirizzo architettonico, urbanistico e
paesaggistico.
Ho studiato e interpretato la “crux viarum”, della quale vi parlerò;
Ho studiato e interpretato la “crux viarum”, della quale vi parlerò;
Ho impostato diversi esami, avendo per base sempre Caltanissetta:
ad esempio la piazza e la chiesa di S. Domenico sono diventati palcoscenico per
l’esame di scenografia, per una Carmen (riveduta e corretta ambientata con
personaggi e nomi locali) dove la sigaraia Carmen diventa la fogliamara
(raccoglitrice di verdure selvatiche) Carmela e il toreador (torero) Escamillo diventa il minatore (surfararu) ‘zi
Totò, il sergente Josè, don Pippinu ecc..
ho sostenuto gli esami di storia
dell’urbanistica su Montecompatri e quello
di restauro sul convento dei carmelitani
di S. Silvestro sempre a Montecompatri (attraverso la ricostruzione dell’ala
demolita), che sono il paese e il convento di Mons Intreccialagli, che è stato
vescovo di Caltanissetta e gli esami
erano finalizzati a conoscere i luoghi del vescovo santo, così come lui aveva
fatto venendo a Caltanissetta, trovandoci diverse affinità soprattutto con le “eresie” urbanistiche.
Esami di composizione architettonica;
Esame di stato per l’esercizio alla
professione;
Tornato a Caltanissetta, per mia
ostinata volontà, pur avendo perso i contatti (anche gli altri amici erano
dovuti andare via per studiare o trovare lavoro, e molti mai ritornati) ho
trovato la città cambiata (nel frattempo erano cambiati i punti di riferimento
e il modo di rapportarsi, gli interessi cambiati, il modo di parlare e di
intendersi- prima si passeggiava in piazza e lo struscio era c.so Vittorio
Emanuele (a strata ‘e funnachi) c.so
Umberto I, fino alla chiesa di S. Agata al Collegio, impropriamente definito: “strata ranni, culleggiu”, definizione
questa che si riferisce al tratto di corso Umberto (strata ranni) verso il viale R. Margherita).
Negli anni ’60, il punto di ritrovo
dei giovani era nella nuova zona di espansione: l’Agip e il Viale della Regione,
poi il bar Mike e il bar Kennedy ecc.
Ma
ancora di più mi sento legato alla mia terra, pur riconoscendone i
limiti ai quali i nisseni e i politici del dopoguerra l’hanno relegata, non
riuscendo a valorizzare quelle enormi potenzialità che vengono da tutti
sottovalutati……perché non la conoscono (città che oggi va “corrompendosi” e
disfacendosi non per colpa del …. progresso, ma per la superficialità dei
politici, che non sono suoi, e della maggior parte di dirigenti e funzionari
degli enti pubblici che… come i politici non sono …. Nisseni, né tantomeno
Cartanittisi.
Così
è ridotta una capitale del suo vallo,
una città che nella prima metà dell’ottocento era la capitale mondiale dello
zolfo e non aveva rivali. In questo secolo e mezzo, con l’unità d’Italia, ha
imboccato un brutto sentiero di decadenza che prima lentamente (viveva di
…rendita) poi precipitosamente (seconda repubblica) l’ha ridotta ad una città
di postulanti (avendo avuto tolti quasi tutti gli uffici, fra poco la
Provincia, che è una delle prime 7 ad essere state create nel 1818, e sul
modello delle quali sono state create tutte le altre con l’Unità d’Italia, alla
chiusura della ferrovia ecc.) che sembra abbia dimenticato definitivamente la
propria storia e la propria grandezza per divenire quello che non è neanche
l’ultimo paese plebeo del mondo moderno, secondo la definizione datane da
Pasolini.
I Borboni l’hanno
elevata al rango di città Capitale, dotandola ed equiparandola alle altre città:
Intendenza (Provincia), Tribunale e Gran Corte Criminale, Diocesi, strade
(tagli e bastioni), urbanistica (giardino pubblico), visite dei reali, ecc., ed altro stavano per darle, se non ci fossero
state le continue rivoluzioni.
Lo Stato Unitario (Monarchia e Republica, 1^ e 2^) l’hanno
semplicemente e via via spogliata e depredata di tutto (prima con il taglio
della provincia per la creazione di quella di Enna, ecc).
È di questi giorni la notizia che un altro simbolo come l’Antenna verrà abbattuta, sotto il silenzio delle autorità preposte, non ultima la Soprintendenza, che… si nasconde come gli struzzi, così come ha fatto con l’ex Mulino Salvati, dove prima sospende i lavori e poi…ritira i ponti, e l’ex Fiat, nel segno della il….LEGALITA’. così un altro pezzo di storia e di città sparisce con l'indifferenza di tutti.... per poi lamentarci a Caltanissetta non c'è niente....
Lo sapevate che la Tour Eiffel, venne costruita in meno di due anni, dal 1887 al 1889; sarebbe dovuta servire da entrata all'Esposizione Universale del 1889, una Fiera Mondiale organizzata per celebrare il centenario della Rivoluzione francese, e smontata alla fine dell'Esposizione? invece è ancora lì da 113 anni a rappresentare Parigi. Noi invece...è un'alta storia! NO E' SEMPRE LA STESSA STORIA.
Lo sapevate che la Tour Eiffel, venne costruita in meno di due anni, dal 1887 al 1889; sarebbe dovuta servire da entrata all'Esposizione Universale del 1889, una Fiera Mondiale organizzata per celebrare il centenario della Rivoluzione francese, e smontata alla fine dell'Esposizione? invece è ancora lì da 113 anni a rappresentare Parigi. Noi invece...è un'alta storia! NO E' SEMPRE LA STESSA STORIA.
Per questi motivi ed altri che vado via via scoprendo, dalla villa Amedeo a villa Isabella mi sono imbattuto in una serie di documenti, che scavalcando l’epopea garibaldina e l'avventura dell’Unità, giungono alla Rivoluzione del 1820 e alle radici di quel “legittimismo” che, oltre ad essere causa prima della costruzione della villa, avrebbe fatto la fortuna della città, invece…oggi siamo....
Lo sapevate che le isole di Linosa, Lampedusa e
Pantelleria, sotto il governo Borbonico appartenevano al Vallo di Caltanissetta?
E con l’Unità sono state attribuite
rispettivamente, le prime due ad Agrigento, e la terza a Trapani.
tratta da:
Itinerario 22
Le isole di Pantellaria, che ha circa 6 mila ab. e di Lampedusa, sono comprese in questa intendenza. Suolo vulcanico.
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Premessa
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Voglio riprendere il nostro appuntamento festeggiando il 136 anniversario della nostra stazione, e l'importanza che ha avuto per lo nostra storia.Premessa
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Lo scorso anno, in occasione della "Notte dei Musei 2011" ho portato avanti le mie ricerche sula ferrovia mostrandola alle scuole che hanno aderito all'iniziativa.
Sebbene la prima ferrovia italiana fosse stata la Napoli Portici, nel Regno delle Due Sicilie, inaugurata il 3 ottobre 1839 dal re Ferdinando II di Borbone.
Furono gli stati del nord a sviluppare e realizzare la
maggior parte delle tratte ferroviarie e
nel meridione e in Sicilia bisogna aspettare l’Unità d’Italia per la loro
realizzazione.
Occorre
peraltro ammettere che i tempi di realizzazione del programma ferroviario
risultarono troppo lunghi (basti pensare che nel 1861 il Piemonte aveva
approntato 866 km
di ferrovie, il Lombardo Veneto 240
km , la Toscana 324 km , i ducati emiliani 180 km ).
Da un
lato questi dati dimostrano che non basta essere i primi ad iniziare, se poi ci
si lascia superare dagli altri.
Dall'altro lato c'è da dire che il ritardo
nello sviluppo delle ferrovie nel meridione, va inquadrato nella corretta e sana concezione
economico-fiscale-sociale del Regno delle Due Sicilie.
Qui
accenniamo solo come, in tale concezione, i programmi di sviluppo dovessero
essere "sostenibili", cioè proporzionati a risorse ed esigenze, e non
viceversa.
Fatto
sta, che il Piemonte è ancora ricordato per quei 866 km di ferrovie, sottacendo che contribuirono all'enorme
Debito Pubblico che quello Stato lasciò in eredità all'Italia Unita.
Le
conquistate Due Sicilie, da parte del governo sabaudo, invece si videro portar via i materiali ed i macchinari
allestiti per le costruzioni ferroviarie, che vennero adoperati al Nord, ed i suoi soldi andarono a turare le larghe
falle delle casse del novello Regno d'Italia.
Così quello che era uno stato industriale, secondo solo all'Inghilterra, fu depredato e ridotto " con una mano davanti e una di dietro".
Oltre alla strada ferrata fu avviata la realizzazione di un complesso industriale che rimase all'avanguardia per anni in Italia. Nel 1840 fu promossa la realizzazione dell'Opificio di Pietrarsa, più ampio e in posizione più felice del preesistente Opificio Meccanico, ubicato nel Castel Nuovo (meglio noto come Maschio Angioino). Nel1845 iniziò la costruzione di locomotive (all'inizio ne furono fabbricate sette utilizzando componenti inglesi del medesimo modello della locomotiva inglese acquistata nel 1843), ed esportate anche in altri stati italiani.
Venne avviata, nello stesso stabilimento, anche una scuola per macchinisti ferroviari e navali. Nonostante gli interessanti progetti in cantiere, alla data del 1860 la rete ferroviaria del Regno assommava a soli 125 km di ferrovie utilizzate.
A Napoli, si costruivano anche i vagoni nello stabilimento di San Giovanni a Teduccio.
Il programma prevedeva poi che la linea Napoli-Capua dovesse essere prolungata a Cassino, e quindi allacciarsi con la ferrovia dello Stato Pontificio. La linea Napoli-Avellino doveva proseguire da un lato per Bari-Brindisi-Lecce, da un altro per la Basilicata e Taranto. Furono programmate anche le linee per Reggio e la tratta da Pescara al Tronto.
In Sicilia erano previste le linee Palermo-Catania-Messina, e Palermo-Girgenti-Terranova.
Nel 1860, al momento dell’annessione al Piemonte, erano in funzione 124 km di ferrovia (tutti nell'attuale Campania) ed altri 132 erano in costruzione o in preparazione (gallerie e ponti erano già stati realizzati).
Il 15 Ottobre del 1860 Garibaldi, insediatosi da circa un mese a Napoli come dittatore, annullò tutte le convenzioni in atto per le costruzioni ferroviarie, e ne stipulò una nuova con la Società Adami e Lemmi di Livorno.
Oltre alla strada ferrata fu avviata la realizzazione di un complesso industriale che rimase all'avanguardia per anni in Italia. Nel 1840 fu promossa la realizzazione dell'Opificio di Pietrarsa, più ampio e in posizione più felice del preesistente Opificio Meccanico, ubicato nel Castel Nuovo (meglio noto come Maschio Angioino). Nel1845 iniziò la costruzione di locomotive (all'inizio ne furono fabbricate sette utilizzando componenti inglesi del medesimo modello della locomotiva inglese acquistata nel 1843), ed esportate anche in altri stati italiani.
Il Piemonte, ad esempio, acquistò nel 1847 sette locomotive napoletane.
Effettivamente vendute nel 1846 dalle napoletane Officine di Pietrarsa al Regno di Sardegna.
Le "vaporiere" vennero consegnate a partire dal 1847 e regolarmente pagate. I nomi di queste locomotive erano Pietrarsa, Corsi, Robertson, Vesuvio, Maria Teresa, Etna e Partenope, (notizie queste prese dalla pubblicazione celebrativa delle FF.SS, Roma 1940, pp. 106, 137 e 139 per Il centenario delle ferrovie italiane 1839-1939).
Venne avviata, nello stesso stabilimento, anche una scuola per macchinisti ferroviari e navali. Nonostante gli interessanti progetti in cantiere, alla data del 1860 la rete ferroviaria del Regno assommava a soli 125 km di ferrovie utilizzate.
A Napoli, si costruivano anche i vagoni nello stabilimento di San Giovanni a Teduccio.
Il programma prevedeva poi che la linea Napoli-Capua dovesse essere prolungata a Cassino, e quindi allacciarsi con la ferrovia dello Stato Pontificio. La linea Napoli-Avellino doveva proseguire da un lato per Bari-Brindisi-Lecce, da un altro per la Basilicata e Taranto. Furono programmate anche le linee per Reggio e la tratta da Pescara al Tronto.
In Sicilia erano previste le linee Palermo-Catania-Messina, e Palermo-Girgenti-Terranova.
Nel 1860, al momento dell’annessione al Piemonte, erano in funzione 124 km di ferrovia (tutti nell'attuale Campania) ed altri 132 erano in costruzione o in preparazione (gallerie e ponti erano già stati realizzati).
Il 15 Ottobre del 1860 Garibaldi, insediatosi da circa un mese a Napoli come dittatore, annullò tutte le convenzioni in atto per le costruzioni ferroviarie, e ne stipulò una nuova con la Società Adami e Lemmi di Livorno.
Con
l’unità d’Italia, il progetto di re Ferdinando II di realizzare una rete
ferroviaria nel Regno fu abbandonato e non venne più realizzato.
I
governi unitari del re sabaudo e del duce e del fascismo non si
interessarono a sviluppare agevoli collegamenti all’interno del Sud, anzi si
concentrarono sullo sviluppo delle linee Sud-Nord per agevolare "la colonizzazione" e il conseguente trasferimento della mano d’opera meridionale al Nord.
Il Governo
borbonico, che aveva da poco soffocato un tentativo di rivolta a Palermo e
sentiva ormai prossimo l’arrivo di Garibaldi, il 28 aprile 1860 emanò un
decreto che prevedeva una serie di
iniziative affinchè: « …una rete di una rete di ferrovie copra le più
fertili e le più industriose
contrade de’ reali
dominii al di qua e
al di là del Faro »
Sotto l’incalzare
degli eventi era chiaramente nato un piano privo di approfondimenti tecnici.
Venne nominata
pure una commissione presieduta dal consigliere di Stato, principe di Comitini,
per lo studio dei progetti ferroviari e per decidere se affidare la relativa
costruzione allo Stato o ai privati.
Ma Garibaldi
era ormai alle porte….
( N.° 809. )
DECRETO contenente
de’ provvedimenti per la-
costruzione di tre grandi linee
di strade ferrate ne’ do-minii continentali, e di altrettante ne’ domini di là
del Faro.
Napoli , 28 Aprile
1860.
FRANCESCO
II. PER LA GRAZIA DI DIO RE DEL REGNO DELLE DUE
SICILIE , DI GERUSALEMME ec. DUCA DI PARMA , PIACENZA, CASTRO ec. ec. GRAN PRINCIPE
EREDITARIO DI TOSCANA ec. ec. ec.
Essendo nostro
volere che una rete di una rete di ferrovie copra le più
fertili e le
più industriose contrade
de’ reali domi-nii
al di qua e
al di là del Faro , onde immegliare
sempre più le
condizioni economiche delle
nostre popolazioni , favorire lo
sviluppo progressivo della loro
prosperità , e sollevarle a
livello delle esigenze
del cresciuto movimen-to commerciale ;
Considerando che a raggiungere l’intento fa mestieri che si adottino tali mezzi , i quali non
lascino più oltre in aspettazione le
nostre sovrane sollecitudini ;
Considerando che
questi mezzi non possono altrimenti ridursi che
a due , la
via cioè delle
concessioni circon-date dalle
migliori facilitazioni possibili
con l’ assicura-zione o di un minimum d’ interessi o di una
sovvenzione , ovvero in luogo
delle concessioni la
via della intrapresa
per conto del
nostro real Governo
con capitali indigeni e sopra una scala di larga e pronta
esecuzione ;
Abbiamo risoluto
di decretare , e decretiamo
quanto segue.
ART. 1 .
Saranno costruite per
ora tre grandi
linee di strade ferrate ne’
nostri real dominii continentali, le quali muovendo dalla
capitale metteranno in comunicazione il Tirreno con l’
Adriatico e col
Jonio, e si dirigeranno , la prima per
Foggia a Brindisi
ed a Lecce ,
la seconda per la
Basilicata a Reggio,
e la terza
attraverserà gli Abruzzi fino al Tronto.
Saranno egualmente
costruite per ora
tre grandi linee
di ferrovie ne’
nostri reali domini
insulari, le quali
uscen-do dalla capitale si dirigeranno l’una a Catania,
l’altra a Messina, e la
terza per Girgenti
a Terranova , mettendo
così in comunicazione
il Tirreno col
Jonio e con
lo stretto.
Il Decreto di
Francesco II, che prevedeva la costruzione di tre linee ferrate in Sicilia. Ma
Garibaldi era ormai alle porte.
In Sicilia bisogna attendere il 1863, quando si inaugura il 28 aprile il tratto Palermo-Bagheria, di poco più di
Tuttavia si dovette attendere il 1866 e precisamente il 12 dicembre, per l'apertura dei
Dieci
anni dopo nel 1872 esistevano, in Italia, poco meno di
7.000 km di linee ferroviarie complessivamente, il cui esercizio veniva
assicurato da 4 Società principali per un complesso di 6.470 km:
§ Società per le Strade Ferrate dell'Alta Italia, km 3.006;
§ Società per le Strade Ferrate romane, km
1.586;
§ Società per le Strade Ferrate Meridionali, km 1.327;
§ Società per le Strade Ferrate Calabro-Sicule, km 551.
Se il Regno delle Due Sicilie ebbe
il vanto della prima ferrovia in Italia, non fu così per la Sicilia nonostante già da tempo fosse stato
intrapreso lo sfruttamento dello zolfo isolano.
Numerose furono le
istanze provenienti dai vari settori imprenditoriali agricoli ed industriali;
nel 1859 l'imprenditore palermitano Gaspare
Ciprì aveva perfino fondato un giornale dal titolo Le ferrovie sicule ed aveva intrapreso trattative con
investitori belgi ed olandesi per l'eventuale costituzione di una compagnia
ferroviaria che costruisse le tratte afferenti ai due porti più utili allo
scopo, la Palermo-Bagheria (per
l'imbarco al porto di Palermo dello zolfo di Lercara) e la Caltanissetta-Licata (per l'imbarco al porto di Licata di quello
del nisseno).
Poco tempo dopo l'Istituto per la promozione
dell'agricoltura, delle arti e dei mestieri di Palermo bandiva un concorso per
lo studio di una rete ferroviaria della Sicilia; in quest'ambito sortiva un
progetto che stabiliva come realizzazione prioritaria la ferrovia Palermo-Girgenti con
diramazione per Caltanissetta e Licata.
Gaspare Ciprì Giornalista, economista e imprenditore, nato a Palermo
nel 1824.
Da un
giornale settimanale del 9 luglio 1859 «Le Ferrovie Sicule» fondato dal
palermitano Gaspare Ciprì, che il Governo Borbonico se ne servì per
propagandare la politica ferroviaria per la Sicilia si legge:
ANNO
I. Sabato
9 luglio 1859 Num.
2.
LE FERROVIE
SICULE
GIORNALE EBDOMADARIO
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
vente, pel bene pubblico. Come la fortuna l’e-
sito non mancherà ai promotori delle ferrovie
Sicule. Ma lungi
da noi le illusioni; per ciò vi
ha bisogno
immensa attività, sacrifizi e attitu-
dine
profonda; chi non vagheggia il lavoro può
sin’oggi rinunziare a quell’intrapresa. – Il pre-
sidente del Consiglio provvisorio ha ordinato la
redazione degli Statuti sociali i capitolari
ge-
nerali della costruzione
della Sezione Santa
Elia – i capitolari
speciali e di appalto. I pia-
ni moduli e prospetti che costituiscono lo in-
sieme dell’organismo della Società. – Noi spe-
riamo poter pubblicar
questi documenti in un
prossimo
numero.
I piani e i capitolari generali e speciali sa-
ranno elaborati dagl’ingegneri De Pierre e Re-
chter. Il signor
Prof. Ciprì è incaricato
delle
redazioni degli
Statuti Sociali
e delle module
organiche della Compagnia. - Tutti questi lavori
sono a buon corso, e devono essere compiuti pel
15 corr. Infine
il personale e gli strumenti per
gli studi definitivi
della linea Sant’Elia sono
pronti per muovere alla volta
di Caltanissetta;
si conta che partiranno sabato al più tardi.
----------
---------------------------------
SOCIETA’ GENERALE DELLE FERROVIE SICULE
Sezione Santa Elia
DA LICATA A GROTTACALDA – CALTANISSETTA
In conferma di quanto
avevamo detto nel
numero
precedente una società anonima per la
costruzione
delle strade ferrate di Sicilia si co-
stituisce in
Palermo sotto la denominazione di
Compagnia generale
delle Ferrovie Sicule
–
Il consiglio di
amministrazione provvisorio si è
di già
formato sotto la
Presidenza del promo-
tore
dell’impresa; fra i componenti il Consiglio
figurano i nomi
seguenti:
D. Romualdo Trigona principe di Sant’Elia.
Barone D. Nicolò
Turrisi Colonna.
Cav. D. Ercole Lanza dei principi di Trabia.
Conte D. Lucio Tasca di Almerita.
Signori Ignazio e Vincenzo Florio. Banchieri.
Sig. avv. Antonino Zerega da Segr. Generale.
Prof. G. Cacciatore, gerente.
È vero
che la Sicilia ha avuto il torto insano
di essere
l’ultima a sacrificare qualche cosa per
fruire delle
ferrovie; ma oggi che al mal fatto
si ripara.
L’inizio n’è presago di riuscita intera.
- L’Europa e
l’Italia indirizzerà sensi
di elo-
gio e
farà voti di fortuna al Consiglio pròvvi-
sorio, --
perché eccetto l’Inghilterra, tutta l’Ita-
lia e l’Europa
sconoscendo la potenza finanzia-
ria delle
ferrovie ne ha lasciato la direzione e
l’esercizio
agli esteri, ebrei e britannici. Per es-
sere miracoloso
sostegno del progresso delle in-
dustrie e
commercio indigeno, l’ amministazio-
ne delle
ferrovie deve restare e guidarsi da menti
e da cuori nazionali. La Sicilia
e il mondo sa
se i personaggi
menzionati nel Consiglio di am-
ministrazione rappresentano
quanto di più no-
bile e di
più cospicuo vi ha nel paese e di fer-
Gaspare Ciprì Giornalista, economista e imprenditore, nato a Palermo
nel 1824.
Nel 1846 pubblicò a Parigi un
opuscolo, ‘D’ouvertes physico-mècanique’, nel
quale descrisse alcune sue invenzioni e che sottopose alle più autorevoli Accademie scientifiche europee.
Tornato in Sicilia, diresse con Biagio Privitera il ‘Giornale del circolo popolare’, che poi muta' il titolo in ‘Giornale della costituente italiana’.
Non risulta che abbia avuto parte attiva nella rivoluzione del 1848,
tuttavia, dopo la restaurazione borbonica nel 1849, fu costretto ad esulare,
dapprima a Parigi poi a Bruxelles. Nella capitale belga collaborò al giornale ‘Le Nord’ ed insegnò economia
sociale in un liceo, propugnando le dottrine dell'economista napoletano
Ludovico Bianchini.
Il soggiorno all'estero gli permise di apprezzare il notevole
progresso scientifico e tecnico raggiunto in ogni ramo di attività nei vari paesi europei e nel Belgio in
particolare.
Nel 1858 ottenne di rientrare a Palermo e subito si adoperò alacremente nel promuovere nuove ed interessanti
iniziative: fondò il
settimanale “Le ferrovie
sicule”, le cui
pubblicazioni iniziarono il 2 luglio 1859 e cessarono il 3 marzo 1860,
attraverso il quale propose il progetto di una rete ferroviaria che collegasse
le principali Comune della Sicilia, dimostrandone l’importanza per il rinnovamento ed il
progresso economico e sociale dell'isola.
Prese accordi con la Casa Rothschild di Parigi per l'invio in
Sicilia di un agente fornito di tutte le credenziali adeguate a sostenere
e a contribuire finanziariamente alle altre imprese industriali.
Contemporaneamente, costituì la
Compagnia generale delle ferrovie sicule, cui aderirono i nomi più rappresentativi dell'aristocrazia e della
borghesia imprenditoriale siciliana. Fu un sostenitore di Garibaldi, ma non fu
garibaldino, anzi l'arrivo del generale interruppe i suoi progetti che vennero
ripresi dopo la proclamazione dell'Unita' d'Italia.
Con la proclamazione del Governo Provvisorio Dittatoriale di Garibaldi, come detto, tutto questo fervore ebbe immediato
riscontro e il 25 settembre 1960 veniva firmata una Convenzione con la Società Adami e Lemmi costituita dai banchieri Pietro Augusto Adami e Adriano Lemmi di Livorno per la realizzazione della rete
ferroviaria isolana.
Poco tempo dopo il governo sabaudo neocostituito, revocata la
convenzione, trasferiva l'atto concessorio alla Società Vittorio Emanuele (a capitale prevalentemente francese);
ciononostante, le ferrovie in Sicilia vennero costruite tardi ed a rilento
stante la progressiva situazione di insolvenza e dissesto finanziario in cui
venne a trovarsi presto la detta società.
La prima breve tratta di strada ferrata in Sicilia fu
realizzata nel 1863, quando vennero
posati i binari tra il capoluogo e il vicino centro di Bagheria.
Nel 1866 prese invece avvio la costruzione
della seconda linea (la più trafficata della regione): la Messina-Catania-Siracusa,
completamente attivata nel 1871, e completata in
tempi assai più brevi rispetto alla Palermo-Messina.
La Palermo-Catania, iniziata nel medesimo periodo
sfruttava il primo tratto originario tra Palermo e Bagheria per poi inoltrarsi all'interno fermandosi alla stazione di Roccapalumba, nei pressi dell'area zolfifera di Lercara Friddi, con il preciso
scopo di convogliare sul porto di Palermo il minerale estratto.
Nel 1869 si apriva il primo tratto tra Catania e Bicocca ed
entro la metà del 1870 era attivo fino a Pirato (Leonforte);
era questo il percorso che più interessava agli industriali dello zolfo per
l'esteso bacino minerario di Grottacalda, Floristella e Sant'Agostino.
In seguito, i lavori
si estesero verso Castrogiovanni (Enna) e Santa Caterina Xirbi,
raggiunte nell'estate del 1876, anch'esse
interessate dalla ferrovia soprattutto per l'importanza delle attività
estrattive delle miniere di zolfo di Villarosa e Imera nell'interno
della Sicilia;
il tratto Leonforte-Villarosa infatti venne costruito in subappalto da Robert Trewhella (il
costruttore della Ferrovia Circumetnea) anch'esso grosso
imprenditore zolfifero.
Negli anni 70 iniziano
i lavori che interessano la tratta che coinvolge Caltanissetta.
Ӝ
Ricordiamo prima, che all’epoca le ferrovie
erano private, e tre le società che le gestivano su tutto il territorio
nazionale.
La
nostra città, sin dal 1876, gode di una importantissima stazione ferroviaria,
la quale sorse non per particolari simpatie dei governanti dell’epoca, ma per
la sua felice posizione topografica al centro della Sicilia seguita dal
direttore dei lavori ing. De Perou.
“Per la sua
realizzazione venne a Caltanissetta la Società privata "Società Vittorio Emanuele", che impiantò, oltre alla direzione dei servizi, la prima officina,
presso la quale lavoravano circa mille operai provenienti da tutte le regioni
d’Italia. E, poiché vi era carenza di alloggi, i fratelli Carlo e Giuseppe
Mazzone, imprenditori piemontesi, giunti in Sicilia per gestire i servizi di
accoglienza e ristorazione degli operai addetti alla costruzione della ferrovia
Palermo-Caltanissetta per facilitare il
congiungimento delle famiglie agli operai, fecero costruire un grande edificio
poco distante dalla stazione, il progettista l’ing. Sebastiano Mottura, pure
lui piemontese (che fu anche il fondatore della prima scuola mineraria in
italia, e ritenuta d’eccellenza -quasi come un corso universitario tanto che negli anni Trenta a Caltanissetta,
prima della guerra d'Etiopia, venne a studiare nella scuola mineraria il nipote del Negus, ovviamente
spesato dalla sua Corte).
Veduta panoramica della "Villa Mazzone" con il parco. accanto la scalinata Silvio Pellico. |
La
villa, sorta inizialmente come residenza privata dei Mazzone, fu utilizzata
come detto a…, mentre i proprietari si costruirono un altro edificio
residenziale lungo la nuova strada della ferrovia, proprio dove la strada si
piega come fosse la cerniera e la villa, che dopo l’inaugurazione della tratta
ha perso la sua destinazione, e valutate le forme e la centralità
dell’edificio, fu utilizzato come tribunale e nel 1897 fu proposto al vescovo
mons. Zuccaro quale sede per l’episcopio e
seminario, ma la trattativa, sebbene il prezzo fosse allettante, fu
rifiutato dal presule, perché erano ormai alle conclusione le trattative per la
cessione del terreno comunale di fronte il palazzo provinciale. Agli inizi del
XX sec. i Mazzone furono i primi gestori della società per l’erogazione
dell’energia elettrica, e costruirono in un angolo del giardino alcuni
fabbricati destinati ad ospitare gli uffici e gli impianti, mentre l’edificio
fu utilizzato come albergo diventando il miglior hotel della città con annesso
parco-giardino.
Villa Mazzone: Particolare dello scalone d'accesso al parco, non più esistente, al suo posto è stata realizzata una terrazza semi ellittica sostenuta da colonne. |
Il percorso
A partire dall’800 le ferrovie sono divenute un elemento molto importante del panorama urbano delle città del mondo sviluppato.
Dopo il 1830, le strade ferrate e le locomotive a vapore si sono diffuse rapidamente dall’Inghilterra, loro luogo di origine, a tutta l’Europa. Caltanissetta non è stata da meno di tante altre città italiane ed europee, ed il treno, con i suoi binari e le sue stazioni, ha iniziato a caratterizzare (e condizionare) l’assetto territoriale e viario della città, anche se, come vedremo, la ferrovia non è mai penetrata all’interno dell’antico centro storico, ma vi si è semplicemente avvicinata.
Le ferrovie sono presto diventate un elemento molto importante per lo sviluppo economico e l’espansione della città, che grazie ad esse ha rafforzato il suo ruolo di centro primario di scambi con il resto del paese. Se ne potrebbe quindi parlare a lungo, e da tanti punti di vista, ma in queste brevi note mi limiterò a descrivere lo sviluppo della rete urbana di binari e stazioni, allo scopo di fornire informazioni ai lettori che siano curiosi di collocare oltre che nello spazio, anche nel tempo, le stazioni ed i tracciati ferroviari con i quali quotidianamente ciascuno di noi si imbatte, girando per la città o prendendo il treno per qualche altra destinazione.Partendo dalla stazione di Caltanissetta Centrale, che
all'inizio si chiamava solo di Caltanissetta venne costruita nell'ambito
della costruzione della ferrovia da Catania verso Canicattì e Licata, iniziato dalla Società Vittorio Emanuele.Dopo il 1830, le strade ferrate e le locomotive a vapore si sono diffuse rapidamente dall’Inghilterra, loro luogo di origine, a tutta l’Europa. Caltanissetta non è stata da meno di tante altre città italiane ed europee, ed il treno, con i suoi binari e le sue stazioni, ha iniziato a caratterizzare (e condizionare) l’assetto territoriale e viario della città, anche se, come vedremo, la ferrovia non è mai penetrata all’interno dell’antico centro storico, ma vi si è semplicemente avvicinata.
Il tronco
ferroviario era la ferrovia Catania - Girgenti che è stata una delle prime ad essere
progettata in Sicilia, dato che doveva far parte del collegamento Catania -
Palermo. Secondo uno dei primi progetti le linee Palermo-Girgenti e
Catania-Licata sarebbero state collegate tra Serradifalco e Campofranco, ma
alla fine fu realizzato invece il tracciato attuale tra Canicattì ed il "quadrivio delle Caldare", come veniva denominato nell'ottocento
l'incrocio stradale posto nelle vicinanze dell'attuale stazione di Aragona.
Il primo tronco ad essere aperto fu quello tra Caltanissetta Centrale e
Canicattì, il 26 settembre 1876: seguì la linea tra Santa Caterina Xirbi (dal
1927 si chiamerà Caltanissetta Xirbi) fino a Caltanissetta Centrale, l’8 aprile
1878, per completare il collegamento il 3 novembre 1880 con il tratto Canicattì
- Aragona Caldare.
Si rese
possibile in tal modo il collegamento senza trasbordo da Palermo a Messina, sia
pure con un lungo giro da Termini a Roccapalumba, Lercara, Aragona, Canicattì,
Caltanissetta, Castrogiovanni (l'odierna Enna) e Catania. Questa situazione durò per cinque
anni, finché fu aperta la galleria di Marianopoli, che consentiva un
accorciamento del percorso.
Questo nuovo
tronco di strada ferrata non tolse traffico alla nostra linea, che attraversa
zone ricche di risorse minerarie, ed i prodotti delle miniere allora nel pieno
dell'attività venivano così convogliati verso gli imbarchi di Porto Empedocle e
di Licata. Forse per meglio instradare i treni da stazioni come Castrofilippo
verso Licata si preferì arrivare a Canicattì da nord: questa scelta oggi si
rivela penalizzante in quanto i treni della relazione Caltanissetta - Agrigento
devono cambiare il locomotore a Canicattì, aggiungendo tale perdita di tempo
alla già bassissima velocità commerciale della linea.
Cercando notizie su Internet, ho trovato
un sito: Comitatosiciliano.blogspot.it
nel quale si da notizia del rinvenimento
dei progetti borbonici per la realizzazione di una rete ferroviaria in Sicilia
datati 1859:
Ӝ
Rinvenuti i progetti borbonici delle ferrovie siciliane
(1859)
Ӝ
progetto delle linee ferroviarie borboniche del 1859
(progettata dall’avv. Francesco Maggiore
Perni, e inserita nell’opuscolo
”Delle
Strade Ferrate in Sicilia” stampato nel 1861.
Nel progetto
borbonico la Sicilia è percorsa da una linea principale quasi fosse la bisettrice: la Palermo-Pachino
(SR), dalla quale si dipartono 4 diramazione più una dalla dorsale
peloritana che collegano tutti i
capovalle tra di loro per un totale di 6 linee e 6 snodi:
linee
- linea (in viola e nero): Palermo-Lilibeo (Marsala) con diramazione per Trapani (unica tratta riproposta quasi per la sua totalità dall’attuale sistema);
- linea (in rosso): Palermo – Pachino (Siracusa);
- linea (in giallo): Palermo - Peloro (Messina);
- linea (in azzurro): Bompensieri - Girgenti;
- linea (in marrone): Bronte - Catania;
- linea (in verde): Caltanissetta-Licata.
snodi
- Palermo: (da dove si sarebbero dipartite le linee 1 e 2 per Pachino e Lilibeo);
- Alcamo: (da dove si sarebbe dipartita linea per Trapani);
- Valledolmo: (PA): (da dove si sarebbe dipartita la linea per Peloro);
- Bompensiere: (CL): (da dove si sarebbe dipartita la linea per Girgenti);
- Caltanissetta: (da dove si sarebbe dipartita la linea per Licata);
- Bronte: (da dove si sarebbe dipartita la linea per Catania)
La Sicilia sarebbe stata così
servita per intero ed i percorsi non aggredivano le coste, come succede
oggi specialmente sulla Siracusa-Messina
e sulla Messina-Palermo infatti:
- la Palermo-Peloro (Messina) era prevista all’interno, sulla dorsale dei Peloritani e dei Nebrodi (servendo un vasto territorio oggi
isolato);
- la Palermo-Pachino (Siracusa), nella stessa maniera era
sulla dorsale degli Erei ed Iblei, anche questa servendo collegando
direttamente centri importanti come Caltagirone;
- mentre Catania si sarebbe collegata alla Palermo-Peloro (Messina)
attraverso una diramazione interna oggi ricalcata in parte dalla circumetnea.
Oggi invece sono 9
linee e 9 snodi lasciando poco servita le zone interne dell’isola
(specialmente dopo che sono state dismesse tutte le altre linee a scartamento
ridotto) con problemi d’impatto ambientale sulle coste, specie per i previsti
raddoppi.
Nelle tabelle
degli itinerari si vedono scritte le stazioni, con il nome dei paesi toccati dalla
ferrovia, i relativi abitanti, la superficie del comune (salmeggio del territorio), i principali prodotti che vi si producono;
inoltre sono indicate i nomi dei paesi che gravitano lungo la tratta entro 10 miglia dalla ferrovia,
posti rispettivamente a destra e a sinistra, con le predette caratteristiche
specifiche.
Trascrivo:
“Quando Garibaldi arrivò in Sicilia,
la prima cosa che fece fu di decretare la costruzione di alcune linee ferrate,
in quanto prima di partire per la famosa spedizione dei mille, si era accordato
con una società livornese, la
Adami-Lemmi che avrebbe dovuto
prendere l'appalto milionario. Il banchiere Adriano Lemmi, che era guardacaso tra i finanziatori dell'impresa
garibaldina, aveva pagato al solo Agostino Bertani da Milano, mazziniano e collaboratore di Garibaldi in
Sicilia, una tangente di 4 milioni di franchi[1].
Adriano
Lemmi fu anche Gran Maestro della Massoneria dal 1885 al 1896[2]peraltro noto per aver riunito sotto un'unica
fede, il Grande Oriente d'Italia, tutte le varie comunioni massoniche
esistenti.
Il frutto di questa
speculazione, che ben poco aveva di patriottico, fu un'ossatura ferroviaria
inadeguata ed inutile di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.
All'epoca, in perfetto
stile colonialista, non si pensò a creare un'infrastruttura al servizio delle
peculiarità economiche e geografiche siciliane, ma solo ed esclusivamente per
congiungere in un asse SUD-NORD le principali città siciliane con l'Alta
Italia, che si apprestava a diventare la nuova sede del potere politico ed
economico italiano, mentre le Due Sicilie che fino a quel tempo guidavano la
locomotiva italiana, furono relegate a mere provincie di periferia.
Così come i romani
costruirono le loro strade per congiungere la loro capitale alle colonie più
lontane, allo stesso modo "tutte le ferrovie siciliane portavano a
Roma".
Decreto per costruirsi una ferrovia da Palermo a Messina per
Caltanissetta e Catania [3].
25 giugno 1860.
ITALIA E VITTORIO EMMANUELE
Giuseppe Garibaldi, Comandante in capo le forze Nazionali in Sicilia,
In virtù dei poteri a lui conferiti,
Sulla proposizione del Segretario di Stato dei lavori pubblici e dei mezzi di
comunicazione; Udito il Consiglio dei Segretari di Stato; Decreta :
Art. 1.
Sarà costruita
una ferrovia da Palermo a Messina passando per Caltanissetta e Catania.
Art. 2.
Il Segretario di Stato dei Lavori pubblici, e dei mezzi di comunicazione
è autorizzato a trattare con capitalisti nazionali, e stranieri per la
costruzione della sudetta ferrovia. Palermo 25 giugno 1860.
Il Dittatore
G. GARIBALDI
-----------------------------------------------------------------------------------------
( N.° 74. ) Decreto che concede alla
Società rappresentata da' Signori Pietro Augusto Adami ed Adriano Lemmi la
costruzione delle ferrovie nell' Italia Meridionale.[4]
Caserta, 25
Settembre 1860.
ITALIA E VITTORIO EMANUELE.
IL DITTATORE DELL' ITALIA MERIDIONALE
Volendo procacciare a queste popolazioni il più
pronto, copioso ed utile lavoro , e riparare nel tempo stesso alla dimenticanza
nella quale fu sino a qui lasciata la costruzione delle ferrovie, ha giudicato
espediente di prendere in immediata considerazione l'offerta della Società
rappresentata da' Signori cav. Pietro Augusto Adami e Adriano Lemmi di Livorno
; e presa intima notizia delle morali ed economiche condizioni di essa Società,
della sua deliberata intenzione di dare preferenza negl' impieghi e ne' lavori
a quelli che si potranno presentare come benemeriti veterani dell' Esercito
liberatore, in fòrza delle pubbliche urgenze e degli straordinarii suoi poteri,
e di precedenti promesse già fatte alla detta Società per le ferrovie di
Sicilia in data 22 giugno 1860;
Decreta:
Art. 1. Le
linee ferroviarie che la Società rappresentata da' Signori Pietro Augusto Adami
e Adriano Lemmi di Livorno dee compiere, sono le seguenti :
(a) La connessione delle ferrovie
napoletane a quelle dello Stato romano, tanto nel versante del Mediterraneo,
quanto dell' Adriatico.
(b) I lavori di quelle linee di connessione collo Stato
romano, che erano già in corso per conto regio, saranno immediatamente ripresi.
(c) Le linee da Napoli a Foggia, e da Salerno a Potenza, e
quindi nella duplice direzione di Bari e Taranto, e di Cosenza e Reggio.
(d) Le linee della Sicilia, da Messina a Catania e Siracusa
, e da Catania a Castrogiovanni e Palermo , colle trasversali da Palermo a
Girgenti e Marsala
(etc.etc.)
Il Segretario
generale della Dittatura è incaricato della esecuzione del presente decreto.
Esso Segretario ed i concessionarii firmeranno un capitolato conforme pei patti
e le condizioni al presente.
Dato in Caserta il dì venticinque
settembre milleottocentosessanta.
Il Generale Dittatore G. GARIBALDI.
(Segretario generale Colonnello
Agostino Bertani)
-------------------------------------------------------------------------------------------
Come si
evince dalla mappa del progetto ferroviario borbonico, le dorsali avrebbero
dovute essere la linea PALERMO-MESSINA e quella PALERMO-SIRACUSA.
La prima
cosa che si nota è che tali strade ferrate non passavano lungo la costa, ma
dall'interno; questa soluzione potrebbe sembrare strana ma non è così in quanto
le ferrovie nacquero per collegare i paesi della terraferma e non per mettersi
in concorrenza con il trasporto marittimo. Concorrenza peraltro inutile in
quanto fino ai primi anni del 1900, risultava più economico e più veloce il
trasporto via mare.
E nel
1866, era molto più veloce andare per mare da Palermo a Messina e da Messina a
Catania, piuttosto che andare con il treno. Chi continuava a soffrire erano
invece quei paesi che, trovandosi all'interno della Sicilia, erano collegati ai
porti della Sicilia solo ed esclusivamente attraverso le strade carrozzabili
per le quali pure aveva dato un grosso impulso nella loro costruzione Ferdinando II di Borbone.
I progetti borbonici
delle Ferrovie Siciliane: [5].
Dorsale Palermo-Messina
Parecchi paesi dell'interno elencati nella tabella oggi risultano completamente tagliati fuori dalla rete ferroviaria. Non sarebbe stato così se fosse stato realizzato il progetto borbonico. Purtroppo il governo piemontese decise che la linea Palermo-Messina doveva passare da Enna e Catania, stroncando la crescita economica della città peloritana.
Dorsale Palermo-Siracusa
Vera e propria spina dorsale della Sicilia, avrebbe tagliato in due la regione e consentito a tutti i paesi dell'entroterra di avere un'accesso rapido verso le principali città Siciliane. Ancora oggi gli abitanti dei paesi elencati nella tabella non hanno accesso al servizio ferroviario.
Linea Palermo-Lilibeo
Da Palermo a Marsala e Trapani passando per Alcamo.
Questa progetto fu invece eseguito dal governo italiano, probabilmente perchè rappresenta un'asse NORD-SUD...
La "ferrovia dello Zolfo", un percorso simile ma con stazioni diverse fu edificato dai piemontesi.
Linea Bonpensiere(CL)-Girgenti
Altra "Ferrovia dello Zolfo", una tratta simile ma con snodo ad Aragona, fu fatta dai piemontesi.
Oggi da Bronte, si vede
passare solo una vecchissima littorina diesel, della ferrovia circumetnea: una
linea a scartamento ridotto che non è mai stata elettrificata e gestita da un
commissario governativo dal dopoguerra.
Con questa linea Bronte, da cittadina sperduta nelle valli etnee sarebbe potuta
ritornare agli splendori dell'antichità, in quanto posizionata lungo la Strada
Regia che da Palermo conduceva a Messina e Catania
Anche se nel corso degli
anni si sarebbero certamente progettate e costruite nuove linee, non ci è
dubbio che le linee borboniche avrebbero rappresentato una buona ossatura su cui
si sarebbe potuta fondare una moderna rete di trasporto ferroviario per la
Sicilia.
[1] Rivelazioni segrete sulla vita politica di Giuseppe La
Farina e suoi seguaci - Losanna - 1865
[2] Esoterismo
e fascimo - Gianfranco de Turris - Edizioni Mediterranee
[3] Raccolta
degli atti del governo dittatoriale e prodittatoriale in Sicilia (1860) -
Palermo - 1861
[4] Collezione delle leggi e de'decreti emanati nelle provincie
continentali dell'Italia Meridionale durante il periodo della Dittatura -
Napoli - 1860
[5] Delle Strade Ferrate in Sicilia - Palermo - 1861
1 COMMENTO:
Anonimo ha detto...
Complimenti per lo scoop.
Ad occhio sembrano gli stessi tragitti, naturali, delle "regie
trazzere", sorta di autostrade del XVI-XVIII secolo per la regia posta. In
pratica, dunque, si pensava di far passare il treno in parallelo alle
principali strade dell'Isola, che infatti passavano dove il territorio era meno
accidentato. C'era anche la regia trazzera costiera che univa Palermo e
Messina, l'unica costruita dagli antichi romani (la Via Valeria), ma
prudentemente da questa forse non si riteneva possibile fare passare anche una
strada ferrata, tanto era accidentato il percorso. Peccato che oggi questo
progetto abbia solo valore storico. Ormai le strade e le ferrovie ci sono. Se
ne può aggiungere qualcuna, modificare il tracciato tra Palermo e Catania, ma
per rifondare tutto ex novo..
Comunque anche la storia ha la sua importanza.
Massimo Costa
Da questi documenti apprendiamo che la
ferrovia Palermo-Catania, costruzione della quale, era stata iniziata dalla Società Vittorio Emanuele (la società,
presieduta da Carlo Laffitte, era stata costituita con capitale interamente francese; quando ebbe ottenuta
la concessione per la costruzione e l'esercizio delle linee ferroviarie
calabro-sicule sostituì la Società Adami e Lemmi dei banchieri Pietro Augusto Adami e Adriano Lemmi di Livorno che
pur avendo ottenuto con decreto dittatoriale del governo provvisorio di Garibaldi del 25 settembre 1860 la concessione per la costruzione delle ferrovie
dell'Italia meridionale e insulare aveva però in seguito incontrato
l'opposizione del nuovo governo italiano. La Società Vittorio Emanuele subentrò
facilmente alla Società Adami e Lemmi anche perché era già proprietaria di una
consistente partecipazione azionaria in quest'ultima.), venne proseguita
e terminata dalla Società per le Strade Ferrate della Sicilia, detta anche Rete Sicula, all'inizio, non venne
concepita come una linea progettata per unire le due maggiori città dell'isola, ma nacque dall'unione postuma (cosa del resto comune a molte altre linee
italiane) di due lunghe tratte delle linee Palermo-Roccapalumba-Lercara-Girgenti-Porto
Empedocle e Catania-Santa Caterina
Xirbi-Canicattì-Licata concepite per uso e scopi differenti:
- La tratta da Palermo a Roccapalumba-Alia venne costruita specificatamente per il trasporto dei minerali di zolfo del grande bacino minerario di Lercara Friddi verso i porti più vicini e cioè quelli di Termini Imerese e Palermo nella prospettiva di un suo prolungamento fino al porto di Girgenti: Porto Empedocle.
- La tratta da Catania verso l'interno nacque per gli stessi scopi, ovvero raggiungere i bacini zolfiferi del Nisseno (da Valguarnera-Caropepe, ad Assoro e Leonforte e Villarosa -oggi in provincia di Enna e attrarre verso il Porto di Catania anche le produzioni agricole della stessa zona e della Piana.
Furono queste le reali
motivazioni per cui si arrivò alla scelta di un tracciato che si manteneva
lontano dai centri abitati per la quasi totalità del percorso e soprattutto lo
allungava notevolmente tra le due stazioni terminali.
Il primo tratto, da Palermo a Bagheria di poco più di 13 km venne inaugurato il 28 aprile del 1863 e l'anno dopo si raggiunse Trabia (altri 18 km ). Tuttavia si dovette
attendere il 1866 per l'apertura dei 5 km
fino a Termini Imerese. Dato che il bacino zolfifero di Lercara si trovava a
ridosso della vallata del fiume Torto, si scelse proprio tale valle per inoltrarvi la costruzione della linea ferrata;
Il 1 aprile del 1869 iniziarono le
aperture delle varie tratte e la ferrovia raggiunse Roccapalumba nell'estate
del 1870. Infatti la stazione di Roccapalumba-Alia venne costruita a ridosso del letto del fiume e in
seguito diverrà stazione di diramazione delle linee per Catania e per Porto
Empedocle.
Intanto nel 1869 era stato aperto al
traffico, sul versante opposto, il primo tratto tra Catania e Bicocca; entro la metà del 1870 era già attivo il
tratto, fino alla Stazione di Dittaino (in origine e fino agli anni '10, fu denominata Stazione di Assoro perché al servizio di tale paese. Venne inaugurata il 15 agosto 1870 in concomitanza con l'apertura della tratta ferroviaria Raddusa-Pirato. L'ubicazione dello scalo venne scelta in funzione dell'allora fiorente industria estrattiva dello zolf, in quanto strategicamente idonea alla raccolta dei minerali provenienti dal gruppo di zolfare dei territori di Agira, Assoro, Leonforte, Valguarnera e Piazza Armerina. Quando Assoro nel 1918 ebbe una sua stazione alla periferia del paese, sulla linea a cremagliera per Leonforte, lo scalo a valle mutò il suo nome in quello attuale. Mente Pirato (la stazione di Leonforte), che
interessava agli industriali dello zolfo per l'altro, esteso Bacino minerario di Grottacalda e Floristella e delle altre decine di miniere dell'ennese.
In seguito, i lavori si estesero verso Castrogiovanni (Enna) e Santa Caterina-Xirbi,
raggiunte nell'estate del 1876,
anch'esse interessate dalla ferrovia soprattutto per l'importanza delle
attività estrattive delle miniere di zolfo dei grandi bacini del Nisseno.
Il 15 dicembre del 1876 si completava ed veniva
inaugurata la restante tratta Roccapalumba-Porto Empedocle che collegava così
anche i bacini minerari del nisseno al porto di Porto Empedocle e
di produzione agricola al capoluogo dell'Isola. A questo punto, anche se per la via più
lunga Palermo e Catania erano collegate via ferrovia ma il lunghissimo percorso
passante per Aragona Caldare era sempre preferibile ad
una estenuante corsa in diligenza della durata di parecchi giorni.
Ӝ
La ferrovia
Canicattì-Caltanissetta
e
la prima Stazione
di Piano Reitano
A
Caltanissetta, il primo progetto per una strada ferrata, che avrebbe dovuto collegare
la città con il porto di Porto Empledocle, fu presentato negli anni ’69 e la
direzione dei lavori fu affidata all'ingegner De Perou.
Nel progetto
originario la stazione sarebbe dovuta sorgere in contrada Calcare, nelle terre
della villa baronale dei Barile (castelletto), distante circa un chilometro e
mezzo dall'abitato, ma grazie all'interessamento delle autorità locali, nonostante il progetto fosse stato
approvato dalle autorità nazionali, quel progetto non fu
realizzato.
Ricordo che le stazioni nel comune di Caltanissetta
sono od erano 6, oltre alle 2 principali: Caltanissetta Centrale, Caltanissetta
Xirbi, ricadono all’interno del comune, anche quelle di S. Cataldo, sulla linea
per Canicattì, Mimiami S. Cataldo, e l’ex incrocio Bosco Saline (all’imbocco
della galleria di Marianopoli), sulla linea per Palermo, Imera, sulla linea per
Catania tutte queste ormai chiuse.
Catastale 1878, dove si vede la via della Ferrovia, iniziata nel 1876 |
Particolare della planimetria catastale del 1878 dove sono visibili
gli edifici della stazione e del magazzino merci, il piano e la via
della stazione.
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Catastale 1878, dove si vede la via della Ferrovia, iniziata nel 1876
|
Incisione, pubblicata nel giornale “Le cento città d’Italia” Supplemento mensile illustrato del Secolo, del 25 Aprile 1892, tratta da fotografia più antica, con vista del quartiere Zingari (Provvidenza) dalla collina di via Sallemi:
Sono visibili, da sinistra verso destra, lo skyline della collina partendo dal campanile di destra della Cattedrale, al centro in alto la chiesa della Provvidenza, a destra la chiesa di S. Giuseppe;
a mezza costa il palazzo Ajala, sopra il bastione di S. Antonino, accanto il monastero di S. Antonino, a destra gli sbancamenti della rampa di destra del predetto bastione e la villa Mazzone;
nella parte centrale, si vede la pendenza della via della Ferrovia (via Cavour) all’altezza di villa Cordova, le case Conti, l’albergo della Ferrovia, a destra Palazzo Orsi Amari;
nella parte bassa gli orti e le saie che scendevano verso il torrente Grazia e case di campagna.
|
In
quest’ottica sorse a Caltanissetta la prima stazione, la cui costruzione
suscitò non poche polemiche e contrasti, soprattutto per la sua collocazione,
che alcuni avrebbero voluto più centrale. Ma in quegli anni Caltanissetta era
limitata dal lato ovest-sud dal Torrente delle Grazie e contenuta e entro
i la cerchia delle case del Canalicchio che fungevano da mura, considerato che
le costruzioni a monte dell’attuale v.le Conte Ignazio Testasecca, che,
infatti, avevano accesso solo dalla via Consultore Benintende già Aquila Nera
(oggi mercato della Strata ‘a foglia), gli ingressi che oggi vediamo su v.le
Testasecca sono successivi; nel predetto, torrente si riversavano le acque bianche e nere della
città, che era scavalcato da diversi ponti (dal ponte Grazia, al ponte di S.
Lucia e da altri intermedi minori) che, prima dell'avvento della strada
ferrata, rappresentavano le principali vie
di comunicazione e per trasporto delle merci.
La proposta fu un pianoro, sottostante
il posto individuato dai progettisti, a
ridosso della città nei pressi della confluenza del torrente Palmintelli con il
torrente Grazia, dove, grazie alla presenza dell’acqua c’erano gli orti, e che per la presenza della
casa Raitano (proprietario del terreno), era denominata appunto piano Raitano, che
corrispondeva a poca distanza da quello che sarà llo sbocco della galleria e,
quindi, a poche centinaia di metri dal centro abitato. Anche il direttore dei
lavori, l'ing. De Perou, viene sollecitato in tale direzione.
A discuterne
formalmente sono i componenti la Giunta comunale composta da Salvatore Natale
(assessore con funzioni di sindaco-presidente) e dagli assessori Agostino
Rugnone, Pasquale Vaccaro e Michele Curcuruto. Nella loro delibera datata 10
gennaio 1872 così si legge: «I terreni
prossimi al caseggiato, nel punto ove sbocca il traforo, offrono una vasta
pianura nella sponda di sinistra del burrone. In tale pianura potrebbe trovarsi
l'ubicazione desiderata. (…) Insomma non sarebbe impossibile introdurre dei
miglioramenti a questa parte del progetto per rendere più prossima l'ubicazione
della stazione all'abitato di questo Capo-provincia, ed appagare i voti unanimi
e ferventi di questa popolosa città, centro dell'isola, ed esteso emporio dei
maggiori prodotti minerari ed agricoli, sede di numerosi funzionari
amministrativi, giudiziari, finanziari e militari, convegno e transito delle
popolazioni orientali ed occidentali della Sicilia».
«Sarebbe superfluo - aggiungono gli amministratori
comunali - dimostrare i vantaggi che tornano ad una città la cui stazione è
alle sue mura, e gli svantaggi allorché questa trovasi discosta ad un
chilometro e mezzo, di poco agevole cammino, perché separata da un burrone».
Pertanto si conclude facendo voti al ministro di accogliere tali motivazioni.
Analogamente
si esprime il Consiglio della Camera di Commercio presieduto da Guglielmo Luigi
Lanzirotti e composto da Antonio Cosentino, Agostino Tumminelli, Giuseppe
Salomone, Salvatore Averna, Francesco Paolo Scarlata, Michele Lomonaco e
Michele Curcuruto, che il successivo 20 gennaio rimarca che «nell'interesse del commercio e
dell'industria di questa città e provincia è di alta importanza l'essere vicina
al caseggiato la stazione, poiché i magazzini di deposito si sono iniziati nel
terreno circostante al sito predetto, i quali esigono che l'ubicazione di essa
non sia molto discosta, tanto per il favore della loro vigilanza e custodia,
quanto per l'agevolezza di accedervi in tutte le ore e di ritornare in breve
tempo e senza molto disagio in città per raggiungere la propria abitazione, per
conferire e quindi riaccedere …».
«E' interessante ancora - aggiunge il
Consiglio camerale - che i passeggeri che giungono possano anche a piedi
entrare in città e trovarvi subito alloggio, farvi trasportare le loro valigie
senza molto stipendio, mettersi subito in relazione con i loro conoscenti;
metter dunque la stazione di Caltanisetta ad un chilometro e mezzo di distanza
è come aggravare il commercio delle merci e delle derrate di un 10 per cento
almeno di più, è accrescere di altrettanto le spese di viaggio di ciascun
viandante, il che è contrario all'obiettivo per cui si costruiscono le
ferrovie». Viene inoltre evidenziato come le terre Barile siano prive di sorgenti
d'acqua, risorsa invece indispensabile per una stazione, mentre nel piano
Raitano sarebbe possibile lo scavo di pozzi.
Anche il
Consiglio comunale, presieduto dal sindaco Antonino Sillitti Bordonaro, si
unisce alle predette richieste e nella deliberazione del 28 gennaio 1872
evidenzia come il Municipio «per
raggiungere la stazione così lontana deve sobbarcarsi alla forte spesa della
strada di accesso, tanto per l'espropriazione dei terreni, quanto ancora per la
costruzione, manutenzione di essa ed illuminazione a gas». Alla fine, tale
azione congiunta delle Istituzioni avrà i suoi effetti e la stazione sorgerà
nella pianura Raitano, parte della quale è poi divenuta l'attuale piazza Roma.
L'8 aprile
1878 verrà attivata la linea di collegamento con Xirbi, la cui stazione era
stata ufficialmente aperta il primo marzo 1876.
Non si trattava semplicemente di una
costruzione provvisoria, ma di un solido edificio in muratura, qualcosa che
doveva durare, e già previsto per un futuro sviluppo, anche se in realtà, come
vedremo, rimase in funzione solo per pochi anni.
La forma di
questa stazione era quella standard per quelle di una certa importanza, infatti
questa era la stessa di quella di Xirbi, con la differenza che questa ha subito
profonde modifiche ed ampliamenti nel tempo.
La costruzione
era formata da un corpo principale a due elevazioni con copertura a padiglione
con le aperture con modulo 3, ai lati due corpi ad una elevazione, leggermente
arretrati rispetto al filo della costruzione centrale, anche queste con modulo
3 e tetto a mezzo-padiglioni, nel corpo centrale, al piano terra si trovava
l’ingresso e la biglietteria, sulla porta centrale la scritta STAZIONE, mentre
nelle ali laterali si trovavano a sinistra le sale d’attesa e a destra gli
uffici, il primo piano era adibito ad abitazione del capostazione; lateralmente staccati a destra l’edificio per
il bar come si legge sull’insegna sulla facciata CAFFE’-RISTORATORE, una
costruzione quadrata con tetto a padiglione con modulo 2, lo spazio intermedio era
adibito ad uscita dei viaggiatori, dove sulla facciata laterale corpo basso la
grande scritta CALTANISSETTA, spazio questo,
per accedere ai binari della stazione era delimitato da un muretto, con il classico cancello basso in ferro con gli angoli curvi e barre poste in diagonale a
formare dei rombi, a doppia anta con un’ampia luce.
A sinistra, sempre staccata un’altra costruzione con tetto a due falde spioventi utilizzata come deposito merci, oltre, ancora staccata la costruzione con i servizi igienici
Il piazzale della stazione era completamente recintato dalla caratteristica staccionata FS in calcestruzzo e l’accesso all’interno del piazzale merci invece era presente un cancello in ferro a doppia anta simile a quello dell’accesso ai binari con un’ampia luce che consentiva il passaggio di carri o veicoli stradali.
Ambedue i cancelli erano sostenuti dalle caratteristiche colonnine in ghisa verniciate nei colori bianco e nero alternati.
Tipologia di cancello a due ante, in ferro con gli angoli curvi e barre poste in diagonale a formare dei rombi, sostenuto da pilastrini in ghisa,utilizzato nelle stazioni e nei passaggi a livello. Lateralmente la tipica recinzione con staccionata in cemento
|
Il piazzale della stazione era completamente recintato dalla caratteristica staccionata FS in calcestruzzo e l’accesso all’interno del piazzale merci invece era presente un cancello in ferro a doppia anta simile a quello dell’accesso ai binari con un’ampia luce che consentiva il passaggio di carri o veicoli stradali.
Ambedue i cancelli erano sostenuti dalle caratteristiche colonnine in ghisa verniciate nei colori bianco e nero alternati.
Mentre la stazione di Xirbi, inaugurata sei mesi prima dello stesso anno il 1 marzo del 1876, è rimasta pressoché identica, con la sola sopraelevazione delle ali
laterali, mantenendo i corpi staccati come quello del bar, lasciando libero lo
spazio intermedio per l’uscita.
La foto è forse la più antica immagine della nostra stazione, concessami dall'amico Walter Gruttadauria, databile qualche
anno dopo ’inaugurazione del 24
settembre
Il piazzale è affollato di
carrozze e carretti. Sullo sfondo la collina di c/da «Medica » con la sagoma di
villa Testasecca, costruzione a blocco chiuso ad una elevazione, fronte con due
corpi leggermente avanzati, copertura a padiglione, cantonali e fregi in pietra
di sabucina, tracce di colore "azzolo" sugli intonaci.
Edificata alla fine del XIX
sec, dalla Famiglia Testasecca e venduta negli anni '50 dal Conte Gaetano
Testasecca, a Francesco Tumminelli e da
lui trasmessa per successione agli attuali eredi
|
Guardando l’immagine della prima stazione di Caltanissetta,
isolata nella campagna, sembra di tornare indietro nel tempo, in un epoca
ammantata di fascino romantico. Ci vuol poco a dar sfogo alla fantasia di un
appassionato di treni che immagina una locomotiva a vapore pronta per la
partenza sul primo binario. Infatti, se se la osserviamo attentamente, vediamo
che quella costruzione è ancora lì nascosta dalle nuove costruzioni ma che è rimasta tale e quale come era quando
la linea è stata inaugurata. Le foto esprimono meglio delle parole questa
testimonianza storica di come erano costruite le ferrovie in Sicilia negli ultimi
decenni del '800.
Villa
Tumminelli prospetto sud-ovest
|
Villa Tumminelli Particolare
della facciata dove sono visibili,
nei sottosquadri, ancora le tracce della colorazione originale
di colore “azzolo” ed sono
visibile anche la false persiana
disegnate e dipinte all’interno delle lunette sopra le
aperture.
In alto al centro, lo spazio
dove era applicato lo stemma della
famiglia.Testasecca, tolto al momento della vendita ai Tumminelli. |
Le stazioni sono elencate con relativo nome e progressiva chilometrica, per il resto le stazioni hanno il fabbricato viaggiatori proprio con relativo magazzino merci e piano caricatore.
Lo stile architettonico è quello tipico di una stazione di
una certa importanza. La stazione è costruita su due piani,
piano terra e primo piano. Nel piano terra ci sono i locali adibiti a
biglietteria, sala d’aspetto (divisa in 1ª e 2ª e 3ª classe) e ufficio del
capostazione, all’interno del quale erano presenti il Telegrafo
(successivamente sostituito dal telefono) e i dispositivi elettrici di comando
dei segnali.
La facciata della stazione lato esterno presenta tre porte di
accesso al piano terra e altrettante finestre al primo piano. La facciata sul
lato binari presenta la stessa partitura con le porte comunicanti con il
marciapiede al piano terra. La facciata laterale sinistra, guardando la
stazione dal lato campagna, presenta una sola porta con soprastante la scritta
entro un cartiglio bianco CALTANISSETTA.
Nella facciata lato binari, la pensilina con mensole in ghisa, l’illuminazione notturna era
assicurata da caratteristici lampioni in ferro battuto, alimentati dal Gas di città entrato in funzione qualche giorno prima, precisamente il 20 settembre 1876.
Il nome della stazione era riportato su tutte le facciate
(eccetto quella dal lato del piazzale esterno dove invece era la semplice dicitura: STAZIONE). Il tetto era a padiglione, nell'edificio centrale a semi-padiglioni in quelli laterali. A padiglione piramidale era l'edificio caffè-ristoratore, mentre a capanna l'edificio del magazzino merci.
Nelle adiacenze del fabbricato viaggiatori, oltre al
magazzino merci, si trova-va, come in tutte le stazioni una costruzione adibita
ai servizi igienici (individuabile e nota con i poco eleganti termini di latrine o cessi)
suddivisa in due locali per “signori” e “signore”.
Accanto al bagno erano
presenti dei casotti in cemento dove il personale addetto ai lavori custodiva i
propri attrezzi.
insegna in ferro battuto con la scritta "CESSI" |
Trattandosi di linea importante venne dotata di infrastrutture di un certo rilievo atte a consentire il traffico con le locomotive a vapore che abbisognavano, data la lunghezza e il tracciato con forti pendenze di consistenti rifornimenti d’acqua come la torre dell’acqua con serbatoio in ferro e colonna idraulica a braccio mobile per il rifornimento diretto del tender delle locomotive a vapore oltre che a tutto il resto dell'impianto.
Adiacente alla torre dell’acqua, dove veniva prelevata l’acqua e pompata nella
torre e successivamente immessa, grazie ad una colonna idrica in ghisa,
che era composta di una parte verticale a struttura tubolare fissa e da un
braccio girevole che terminava con un raccordo curvo verso il basso e
rastremato per convogliare l’acqua verso il treno in sosta.
Sopra la torre il fanale per l’illuminazione e per le
segnalazioni.
Lateralmente
alla torre lo strumento che segnalava il livello interno dell’acqua.
Antica sfocata immagine del lato binari della
1^ stazione (??!!), dove sono individuabili i tre
volumi dell’edificio, la pensilina in ghisa. |
La locomotiva che arrivò a Caltanissetta al
momento dell'inaugurazione del tronco Canicattì-Caltanissetta, era una delle 10
unità che erano state costruite, tra il 1863 e il 1869, anche per la Società Vittorio Emanuele allo scopo di impiegarle sulle linee
calabro-sicule ed erano state numerate SFCS 1–10; le prime tre, denominate Archimede, Diodoro e Novelli il 28 aprile 1863 inaugurarono la Palermo Bagheria primo
tronco ferroviario dell'isola
siciliano. Queste locomotive a vapore, costruite dall'Ansaldo ed ereditate
da varie società ferroviarie dopo la nazionalizzazione delle ferrovie nel 1905 furono rinominate
FS 113 delle Ferrovie dello Stato.
Una delle 10 locomotiva della SFCS denominate Archimede, Diodoro, Novelli ecc. che entrò per l’inaugurazione della tratta e della stazione di Caltanissetta Le prime 8 locomotive erano
state costruite tra il 1854 e 1855, e tra esse c'era la famosa Sampierdarena, prima
realizzazione interamente italiana della fabbrica di locomotive di Giovanni Ansaldo.
Il 24 settembre del 1876,
la locomotiva del tipo SFCS
(Società Ferroviaria Calabro Sicula), pavesata
di vessilli e festoni, traina un convoglio di tre carrozze, alla presenza
delle autorità, il sindaco bar. Giovanni Benintende, il prefetto: quel Guido
Fortuzzi (che disse cose indicibili sui cittadini), il vescovo mons. Giovanni
Guttadauro, l’intero Consiglio comunale, la
scorta militare d'onore, da molte altre autorità e dalla folla festante che, con gli applausi,
coprì le note della marcia reale, suonata dalla banda militare, il
capostazione, con lo spadino nella mano (simile a quello del Capitano della
Maestranza, - infatti quello appartiene alla polizia ferroviaria borbonica, come afferma la perizia del maggiore esperto nazionale in armi: il perito ing. Manlio Averna), e il berretto verde sul capo (diventerà rosso in seguito), diede il
segnale di partenza, mentre il sottocapo con il campanaccio e la voce, per
ragioni di sicurezza, invitava le persone a tirarsi dietro.
Non ci è dato di sapere, se come era usanza,
le autorità: il Prefetto, il Sindaco, il Vescovo, una scorta militare d'onore e
una banda militare, abbiano percorso gli ultimi chilometri (forse dalla
stazione di S. Cataldo) per entrare trionfalmente in stazione, o abbiano atteso sul
marciapiede l'arrivo del treno e la relativa ripartenza.
Nel primo caso
(con le autorità sul treno) un secondo convoglio (con le autorità minori come i consiglieri i sott'ufficiali ecc., e con
una seconda banda militare) sarebbe arrivato subito dopo per completare la
parata.
Sappiamo solo
che a Caltanissetta il treno è accolto da un'immensa folla con travolgente entusiasmo.
Il percorso dell’intera tratta, di km. 28,871,
viene coperto in circa 55 minuti, realizzando una media di 31,5 km/ora, di gran
lunga superiore a quella delle più veloci carrozze a cavalli.
Ricordiamo che, fino all’apertura del
tratto di
Così la strada ferrata costituì, fin dal suo
inizio, un importante fattore di sviluppo economico e commerciale, e non solo
una curiosità puramente turistica.
La costruzione
della ferrovia era avvenuta velocemente nel 1876. Numerose squadre di operai
avevano lavorato.
La linea, fu costruita “a un solo corso di ruotaie”: un binario
semplice che percorre in linea quella poco più che doppia dozzina di chilometri (i progetti borbonici erano sempre a doppio binario).
I passeggeri viaggiavano divisi in tre
classi, su vagoni dalle caratteristiche diverse, pagando naturalmente tariffe
differenziate.
Il nome di carrozze, che ancora oggi diamo ai vagoni,
deriva dall’uso originario, perchè nelle primissime versioni si trattava di telai su cui
gli scompartimenti erano ottenuti fissando proprio le carrozze stradali private
del telaio con le ruote, da questa soluzione, in seguito, nelle fiancate (in
quelle di 1^ classe) riproponevano la forma delle carrozze, erano
interamente in legno,
telaio e cassa inclusi, rinforzati con bande e travi d'acciaio.
I passeggeri viaggiavano divisi in tre classi, su vagoni dalle caratteristiche diverse, pagando naturalmente tariffe differenziate
Quelle di 3^ classe erano ridotte
all’essenziale ed inizialmente erano anche non coperte.
Per quanto riguarda la sicurezza, si
utilizzava un sistema un po’ rudimentale (non era ancora completamente diffuso
il telegrafo), ma affidabile: da ognuna delle due estremità un treno non poteva
partire se prima non era arrivato il convoglio che viaggiava in senso
contrario. Per le segnalazioni i segnalatori potevano vedere lontano, e si trasmettevano i
messaggi con bandiere, secondo un codice di segnali di cui si è persa la
memoria.
Dopo la solenne inaugurazione, la Caltanissetta-Canicattì
entrò in pieno servizio: tutto funzionava alla perfezione (prima di ogni
partenza, le locomotive facevano una "corsa di prova", percorrendo un
centinaio di metri, poi tornavano indietro e venivano agganciate al convoglio)
e nei primi mesi i passeggeri giornalieri furono moltissimi. La strada ferrata piaceva, e la
domenica costituiva un vero e proprio svago.
Lo spiazzo
davanti la stazione era un andirivieni di carrozze, carretti e carromatti, con i carrettieri che caricavano
o scaricavano merci di tutti i tipi, il vetturini o cocchiere (“u ‘gnuri”) e il facchino (“u
biliciaro” e/o “u vastasu”) che ti aiutava a portare i bagagli e le valigie,
venivano così superate anche le critiche e perplessità di quelli che avrebbero
voluto la stazione più nel cuore della città.
Naturalmente non c'erano solo le carrozze dei ricchi,
c'erano anche quelle dei semplici "gnuri", cioè il servizio pubblico
a nolo. Fino agli anni Venti, però, i comodi "landeau" a quattro
posti o i "coupè" a due posti, i fiacre, ecc con la maggiore
diffusione del servizio, furono sostituiti da carrozzelle a mantice (come
quelle che ancora esistevano fino a qualche anno fa) più povere e soprattutto
aperte a tutte le intemperie.
Da i documenti ufficiali, la
stazione non era servita dai mezzi pubblici tranne il passaggio di quella che
negli anni 50-60 era la Circolare Sud n. 6 (piazza Garibaldi-Macello; capolinea davanti la chiesa di S. Sebastiano,) che passava per via Niscemi e via N. Colajanni, e deviava
alcune corse per la stazione, in coincidenza con i treni.
Il
servizio era attuato da quella che allora era la SIAN (Società Industriale
Automobilistica Nissena) divenuta nel 1971 SCAT (Società Coop. Auto Trasporti).
Oggi il servizio è accettabile, considerato che la stazione è divenuto negli
anni ‘90 il capolinea di tutte le linee, però non si deve dimenticare quello
che anni or sono, e precisamente verso la fine del secolo scorso, veniva
effettuato solo dalle carrozze private che bisogna riconoscere che erano di
grande utilità per coloro che dovevano raggiungere o lasciare la Stazione
Ferroviaria col peso di valigie o altri bagagli.
Secondo alcune fonti (da controllare), pare che ci fosse tra fine ‘800 e primi ‘900, un
servizio, che possiamo definire pubblico, con carrozze tipo wagonette a 6-8 posti, chiuse tutte in
legno con sedili laterali ed accesso da dietro, con attacco singolo o a pariglia, una sorta di mini omnibus, gestito dalla famiglia
Russotti, che collegava la stazione al centro, come si vede in diverse immagini
di cartoline antiche del periodo.
Tuttavia, i poveri "gnuri"
nulla poterono contro il progresso e contro la motorizzazione.
I cocchieri e servitori (‘gnuri e cammariri, criati), nel
XVIII secolo si riunirono nella Confraternita di S. Calogero, approvata dal vescovo di
Girgenti, Mons. Lucchesi Palli nel 1756, che si riuniva nella chiesa
omonima, non più esistente, che si trovava nella strata ‘e Santi (via re d’Italia).
Vestiva il sacco bianco stretto
da una correggia (curria) scura, sul
quale metteva un abitino nero con la sigla del nome di Gesù, e nella parte
anteriore della mantellina che insieme al cappello era di colore marrone, era
scritto bordato di bianco: In nomine Iesu.
Da piccolo,ricordo
la divisa che indossavano i gnuri dei carri funebri, che portavano una livrea
scura (non ricordo il colore) con
galloni e passamanerie dorati e la feluca in testa simile a quella del
Capitano della Real Maestranza e del mazziere del Comune.
La strada, che
dalla stazione andava al centro della città, era denominata “via della
Ferrovia” (oggi Via Camillo Benso conte di Cavour), in quell’epoca era fangosa
e polverosa, secondo le varie stagioni.
Infatti (21anni dopo l’inaugurazione) così la
descrive William Agnev Paton nel 1897, scrittore americano, nel suo
“Picturesque Sicily”:
Da alcuni particolari descritti, si evince
che Paton (lo scrittore che la descrive a tinte fosche) arriva in città in
treno, assieme alla moglie, proveniente da Girgenti (Agrigento), una sera
dell’inverno del 1894 ed alloggia (dalla descrizione che fa) in centro città
nel miglior albergo di allora il “Concordia”, quello che diventerà dopo
l’albergo “Moderno” posto in cima alla salita Tribunali (oggi via Matteotti).
Nevicava e pioveva e “uno stuolo di poveri, che cantilenavano il loro miserere andavano saltelloni di fianco alla vettura”. entrò nei “recinti della città, le cui vie erano così male illuminate che sentiva, ma non iscorgeva le affossature e le ineguaglianze delle strade. Sapeva d’altronde che le strade erano fangose.”
“Finalmente
si fermò in una scura via a capo d’un vicolo anche più scuro e stretto che
conduceva dalla oscurità visibile entro una tenebra assoluta, era in vicinanza
di un albergo e scese dopo un breve tratto sopra uno sciagurato lastrico,
traverso piccoli stagni e pozzanghere, udendo misteriosi sussurri di gente
dentro cantine senza luce e senza fuoco, sentendo ogni sorta di lezzo di
umidiccio e di stiva, giunse all’albergo.”
“…sopra
un braciere di carbone ardente” prese posto “a una grande tavola oblunga, ove stavano dieci o
dodici ufficiali dei reggimenti di guarnigione a Caltanissetta durante i
torbidi sociali. Questi ufficiali (militari gentiluomini) erano in alta uniforme…”
Dopo il desinare il signor Paton con la sua
signora e alcuni ufficiali andò “a un
ballo in maschera, al teatro” e non restò punto “dispiaciuto quando gli fu
proposto di andarsene da una scena, che dura nella sua memoria come uno spettro
triste e doloroso di una gente preoccupata e disperata, la quale si sforzi di
darsi bel tempo a dispetto dei guai che premono i loro cuori e amareggiano la loro
esistenza”.
Da Picturesque
Pag.237
Girgenti
to Calanissetta – Sulphur District – Veritable Infernal da Girgenti a Caltanissetta –Distretto Solfifero -
Regione
Regions
– Kal- at – Nisa (“Fortesa of the Women”) – A veramente
infernale – Kal-at-Nisa (Fortezza delle donne).
Strange
Ride – A Ancient Albergo- “Un Ballo in Ma- Una
strana cavalcata – Un antico Albergo – Un ballo in
schera” – “Sermons and
‘Gazzosa.’” Maschera
– Sermoni e Gazzosa
LATE in the afternoon we took a train bound from.. Nel tardo pomeriggio abbiamo preso un treno diretto da
Pag.
242
..from
a conversation our “cameriera” held with our da
una conversazione della nostra cameriera tenuta con il
“cameriere”
in our hearing: nostro
cameriere abbiamo sentito
“What do they speak, these
Americani?” asked the “
cosa parlano questi americani? Chiese alla
Buxom
daughter of Caltanisetta. formosa
figlia di Caltanissetta.
“They
speak la lingua francese”… “loro
parlano la lingua francese”.
Pag.
243
..the
regments quatered in Caltanisetta during the “…sopra
un braciere di carbone ardente” prese posto “a una
social
disturbances. These military gentlemen were grande
tavola oblunga, ove stavano dieci o dodici ufficiali
in full uniform and had their
swords by their sides dei
reggimenti di guarnigione a
and wore spurs; were, in fact,
arrayed in the full pano- i
torbidi sociali. Questi ufficiali (militari gentiluomini) erano
ply of war, in which Italian
officers invariably appear… in alta uniforme
Lungo questa
strada, ai suoi lati non vi era alcun fabbricato ad eccezione di una
costruzione che si trovava a sinistra, dopo la curva e prima di quella che sarà
la villa. Quella costruzione era denominata “Albergo della Ferrovia” sita
nei pressi degli orti della famiglia Conti, era adibita ad osteria ed il resto
ad alloggio (negli anni sessanta inopinatamente sopraelevato in stile moderno,
con balconi in c.a collegati tra di loro con quadralini in ferro, come si usava
allora, dipinti in rosso.
Fuori,
a pochi metri della stazione l’austero edificio realizzato per una destinazione
legata all’attività estrattiva dello zolfo, infatti ospitava l’Ufficio delle
Miniere e il Sindacato della Società anglo-sicula per l’estrazione del
minerale, nel ‘900 acquisito dai Baroni Amari, subisce danni durante i
bombardamenti del 1943, ristrutturato viene affittato negli anni cinquanta alla
Provincia che lo destina come sede dell’Archivio di Stato, che vi resterà fino
al 1984 quando si trasferisce nei nuovi locali di V.le della Regione.
Alla fine
del XX sec. ormai abbandonato, l’edificio viene salvato dalla demolizione con
un vincolo architettonico, e quindi ristrutturato attraverso lo svuotamento
dell’interno ed una ricostruzione, mantenendo le facciate e lo scalone
originari.
Tra le
iniziative dei proprietari delle miniere per migliorare i collegamenti nelle
zone di estrazione si ricordano alcune linee ferroviarie a scartamento ridotto,
impropriamente definite «tamvie», colleganti i giacimenti con le vicine
stazioni.
Di
queste una sola fu con trazione animale e raggiungeva la stazione di Imera con
un percorso di
Tra le
altre, tutte a trazione a vapore. La ferrovia tra le miniere del gruppo Juncio
(Cinnirella, Tumminelli e Testasecca) e la stazione di Imera, di
Di queste
una sola fu con trazione animale e raggiungeva la stazione di Imera con un
percorso di
Sappiamo
anche da una lettera, con carta intestata “Ferrovia a vapore Gruppo Juncio –
Imera”, datata 24 febbraio (senza anno) che questa ferrovia che collegava la miniera Juncio alla stazione di
Imera, sarebbe stata “vaporizzata”, ma
della quale non c’e più traccia (smantellata?):
FERROVIA A VAPORE
GRPPO
JUNCIO –IMERA Caltanissetta , li 24 Febbraio
- -o - -
SOCIETA’ ANONIMA “FERROTAIE”
SEDE CENTRALE ROMA
-----------------------------------------------------------------
Telegr.:
RIGOLETTI Caltanissetta V Telefono internazionale
Num . 38 SPETTABILE
--------------O-----------
C
I R C O L O F
E R R
O V I
A R I O
PROVVEDUTO COL N ° 1349
P A L E R M O
- - - - - - - - - - - - -
Ci pregiamo rendere
noto a codesto
ON. le Circolo Ferrovia-
rio che
la n/ ferrovia
per trasporto zolfi
del Gruppo
delle Miniere
YUNCIO alla
Stazione d’IMERA sarà pronta per
essere collaudata nei
primissimi giorni
del prossimo Marzo,
avendo già ottenuto un
discreto
consolidamento con
alcuni mesi di
traffico provvisorio. –
Carta da lettera intestata "Ferrovia a vapore Gruppo Juncio - Imera".
Ma senza dubbio il più avveniristico
sistema di trasporto per i tempi, fu quello attuato nel 1870 dal proprietario
di una miniera che, chissà dopo quali polemiche e quanti ripensamenti, acquistò
una «locomobile a vapore», cioè un trattore stradale fornito di caldaia
a vapore e mosso da una motrice a stantuffi, che per brevissimo tempo effettuò il
traino di un convoglio di rimorchi stradali, carichi di minerale, da Caltanissetta
al porto di Licata.
L’eccessivo
peso assiale di questo insolito veicolo, ridusse però in breve tempo la sede
stradale in condizioni tali che si dovette interrompere l’attività tornando ai
carretti, che, in effetti erano il mezzo di trasporto più adatto al fondo
stradale e alla larghezza delle strade allora esistenti.
Accanto,
nello spazio dove adesso è via Pisani, vi era l’angusto casotto del Dazio, i
cui agenti controllavano i bagagli dei passeggeri in arrivo e le merci ritirate
dai magazzini della Grande e Piccola Velocità.
PONTE
VIADOTTO
sul
torrente Busiti
Come detto, per completare il collegamento
verso Catania manca ancora il tratto fino a S. Caterina Xirbi, così bisogna
aspettare l’8
aprile 1878, quando viene ufficialmente inaugurato la tratta di collegamento
con la stazione di Santa Caterina -Xirbi che era stata inaugurata il 1 marzo del 1876.
Per realizzare questa
tratta di appena
Nella seconda
metà dell’ottocento, dopo la costruzione dei maggiori tronchi ferroviari,
vengono avviati i lavori del nuovo tronco Santa Caterina (Xirbi)- Aragona
Caldare con la variante richiesta da Caltanissetta, che vuole avere una propria
stazione ferroviaria.
Imboccata
la lunga galleria, quasi in linea retta
lunga 1748 metri, che
attraversa la collina sulla quale oggi è costruita la città, si esce in
contrada Tucarbo. La galleria è dotata di due pozzi sfiatatoi di areazione (grandi
camini tronco conici, con la parte terminale semisferica con buco centrale,
realizzati con muratura e
"pantofole" i mattoni pieni in cotto, dei quali quello che adesso si
trova dentro il parco Robinson di via De Amicis, negli anni '70, è stato
demolito e ricostruito in cemento).
I due pozzi sfiatatoi, sono posti a circa 1/3 della lunghezza cioè a m. 600 dalle due testate,
sono collocati a circa m. 9 dall’asse della stessa galleria, ed hanno un
diametro di circa m.3.
Detti pozzi, oltre all’areazione, sono serviti allo
scavo della galleria stessa, dando la possibilità di scavo su sei fronti di
avanzamento, compresi i due imbocchi.
Dopo la galleria, si prosegue per poi
attraversare il “torrente Busiti” con un ardito ponte viadotto
caratterizzato da un doppio ordine di archi è costituito dalle spalle laterali
posti ai fianchi del vallone, da due pilastri intermedi, a base rettangolare,
rastremati verso l’alto, che formano tre campate suddivise in un modulo di
quattro archi appoggiati su piloni intermedi, anche questi a base rettangolare,
rastremati verso l’alto; sopra il piano del primo ordine un’altra serie di archi, ricavati nel centro dei pilastri, formano un passaggio pedonale percorribile .
Il letto del torrente sotto il terzo arco del secondo
modulo è lastricato con "pantofole" poste di taglio, impedendo
così l'erosione della base dei pilastri.
L’intero ponte è formato
da un totale di diciannove archi, dodici quelli principali nella parte
superiore e sette secondari nella parte inferiore.
Tutta la struttura è
realizzata in pietra da taglio.
Nell’aprile del 1874 è
già stata realizzata la parte inferiore delle arcate.
Il manufatto presenta
notevoli analogie strutturali con il ponte “vecchio” di Ragusa, detto anche dei
Cappuccini.
L’8 aprile 1878 viene
ufficialmente inaugurato la tratta di collegamento con la stazione di Santa
Caterina -Xirbi aperta il 1 marzo del 1876.
I progettisti dei
calcoli sono gli ingg. Giuseppe Politi e Antonino Messina, il materiale lapideo
utilizzato è in gran parte calcarenite bianca compatta, proveniente dalla
vicina cava Pescazzo. già esaurita, a tal proposito gli stessi calcolisti nella
loro relazione e nei calcoli indicano:
“Mancando le necessarie esperienze sulla resistenza del
calcareo compatto che entra nella costruzione in esame, ed essendo riuscito
impossibile eseguirle, perchè già esaurito lo strato da cui fu preso, abbiamo
introdotto nei calcoli per coefficiente di rottura per pressione il valore R = Kg. 3000000, che si riferisce ai
calcari duri, ai quali è assimilabile quello adoperato.”
I piloni sono realizzati
in muratura
Considerando la pendenza
della linea, che in questo punto è del 1,25%, la sede viaria del ponte misurata
tra i due estremi, risulta avere un dislivello
di m. 2,64
L’opera finita risulta
essere di m. 211,75 e alta m. 40 circa, con pendenza della sede della linea del
1,25%,.
Per realizzare la
pendenza della sede della linea, avendo gli archi uguale raggio ed essendo le quote d’imposta
allo stesso livello, è stato necessario variare l’altezza extradossale degli
archi con in andamento compreso tra m.0,80
del primo modulo e m.1,20 del terzo
Gli archi hanno un
raggio di m. 6,25 circa, gli archi inferiori, a causa della rastremazione verso
l’alto dei piloni, pur mantenendo la stessa curvatura risultano ribassati nel rapporto di 1/3,15;
La rastremazione dei
piloni ha un’inclinazione del 6.0% delle
facce principali (paralleli all’asse del viadotto) e del 2,5% delle facce
interne (perpendicolari all’asse)
Da alcuni documenti
risulta che per alleggerire il riempimento extradossale degli archi , sono
stati realizzati, nei due moduli con maggiore spessore (2° e 3°) due voltine in mattoni posti ortogonalmente alle volte, seguendo l’andamento
l’asse del viadotto
Le spalle del ponte sono invece verticali
Per lo smaltimento delle
acque meteoriche, oltre alla pendenza propria della linea, sono stati
realizzati dei doccioni (piombo?)
con un diametro di circa m.1,00, ripartiti in n. di 24 i nei due fronti
Questo tratto mancante,
che collega Caltanissetta a Catania, rompe definitivamente quell’isolamento
patologico del quale la città soffriva con collegamenti rapidi, tali da
consentire maggiore possibilità di smercio dello zolfo proveniente dal vasto
bacino minerario delimitato dai fiumi Platani e Imera Meridionale,
Caltanissetta rimarrà fino al declino irreversibile dell’estrazione mineraria
della metà del novecento “capitale dello zolfo”.
Da notizie di prima mano datemi
da una dei discendenti, nel tratto per Xirbi sembra che il nonno, Giovanni
Giuliani, sia stato il titolare dell’impresa, di origine aquilana che si è
stabilito in città e in città vivono, appunto, ancora dei nipoti. A detta degli eredi, il nome dell’impresa, era scritto almeno in
una delle targhe indicative, in ceramica smaltate bianche listate e con scritta in azzurro che erano
apposte in alto a destra sul
frontespizio delle gallerie (come quelle apposte agli angoli delle strade), e
che da piccoli la madre gli faceva vedere con orgoglio ogni volta che partivano
in treno. Generalmente su queste targhe, era scritto: il nome della galleria,
la lunghezza e il km della tratta. Queste targhe oggi sembra che non ci siano più, tutte o in parte. Per
vandalismo o quant’altro. Se rimosse perché deteriorate, non se ne capisce il
perché sono state rimosse e non
restaurate o rifatte. Per questo non ho potuto verificare. Ma approfondirò.
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