CALATANIXECTA
SERVANDA EST
(Caltanissetta deve essere salvata)
Ӝ
MULINO- PASTIFICIO F.LLI SALVATI:
IL PRIMO E … L’ULTIMO
lA Torre fenicia o
mulino persiano
lA Torre fenicia o
mulino persiano
Ӝ
QUANDO CALTANISSETTA……….
SI AVVIAVA AD DIVENIRE CITTA’ INDUSTRIALE,
COME ACCADEVA IN TUTTO IL REGNO DELLE DUE SICILIE, ADOTTANDO TUTTE
LE INNOVAZIONI TECNOLOGICHE DEL TEMPO.
PREMESSE QUESTE AVVIATE CON SUCCESSO IN PERIODO BORBONICO
E………ANDATE AVANTI PER FORZA D’INERZIA … E
MAN MANO SCEMATE CON L’UNITA’ D’ITALIA ……. FINO……… A SPARIRE DEL TUTTO
CON LA REPUBBLICA
Ӝ
Giuseppe Saggio
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4^ PARTE
Mi scuso,
ancora una volta per il ritardo per questo nuovo appuntamento, dovuto sempre
per motivi tecnici e o per la mia scarsa dimestichezza con questo tipo di
attrezzature , spero di darvi altre notizie al più presto.
Le foto sono di Giuseppe Castelli, le cartoline sono
tratte dalla mia collezione.
trascrivo integralmente l'articolo citato:
Volendo fugare ogni dubbio, non fosse altro per la rilevanza
che la girante eolica riveste nella storia della tecnologia, il brano di Erone
è inequivocabile quanto precisa che quella piccola girante ha “ali simili a
quelle dei mulini a vento. Quando queste ali, mosse dal vento, fanno girare il
disco F, anche l’asse gira (…). Si piò spostare il basamento che sostiene
l’asse in modo di approfittare sempre del vento dominante per produrre così un
movimento di rotazione più rapido e continuo”. La necessità di orientamento
l’asse della girante per poter sfruttare il vento del momento, ribadendo che l’anemourion fosse una girante eolica, fa
escludere però che lo fosse di tipo afgano, incongruo per tale spostamento.
Le aperture delle finestre erano opportunamente regolate in modo da ottenere il migliore rendimento del mulino.
Tale strategia permetteva un funzionamento
costante del mulino, considerando che difficilmente a Caltanissetta, e in
particolare nella zona di Sallemi, vi è assenza assoluta di vento. A questo
punto questa torre è da considerare un unicum assoluto in quanto oltre alla
colombaia, (già unicum) è anche l'unica testimonianza del cosiddetto mulino
fenicio, risulta il meglio conservato tra i pochi altri dello stesso tipo che,
attualmente, ancora esistono in Europa.
Non capisco perchè ancora la
Soprintendenza e gli organi competenti non siano intervenuti a bloccare i
lavori, vincolarlo, per evitare lo scempio, purtroppo già in corso, della
demolizione di una parte del mulino e la costruzione di un nuovo palazzo, con
molti interrogativi sulla legittimità, come ampiamente descritto e dimostrato nelle parti
precedenti.
Leggendo la rivista ARCHEO ATTUALITA’
DEL PASSATO n. 323 di gennaio 2012, mi è capitato
l’articolo di archeotecnologia: Quando
il mulino portava l’acqua, di Flavio Russo, ho riscontrato diverse
similitudine con quella che ho chiamato “la torre colombaia” dell’ex mulino
Salvati, che ho individuato che per alcuni particolari costruttivi, per quello
che ho potuto osservare, l’ho datata tra il XII e il XIV sec.
Dopo la lettura del detto
articolo, la datazione deve essere anticipata di diversi secoli, e
precisamente intorno al IX- VIII sec. o addirittura anche prima.
Infatti confrontando i
disegni delle planimetrie, delle sezioni, e della ricostruzione virtuale
assonometrica, sono evidenti le analogie:
·
l’apertura verticale, larga poco meno del raggio del
cerchio iscritto al quadrato della torre, dalla quale entra il vento che fa
girare la girante a vele.
·
la presenza di un altro vano attiguo al primo con le
stesse misure.
·
La presenza di un albero centrale in legno,
trasformato o realizzato ex novo per la scala a chiocciola
Nella nostra torre:
·
L’apertura verticale è stata “recentemente occlusa”,
lasciando liberi solo lo spazio per le finestre, mentre l’apertura opposta
(oggi non più visibile) è stata occlusa dalla costruzione degli appartamenti
del nuovo mulino.
·
Il vano attiguo è stato trasformato in stanze dove
sono stati allocati i servizi (cucina, bagno,..) e l’apertura verticale
coincide con la zona a colombage e le relative aperture.
·
Nel primo vano si trova una scala a chiocciola con
albero centrale in legno (utilizzando il perno del mulino originale?).
Non siamo in grado di
stabilire come funzionasse il mulino antico, e come facessero a girare le
macine, considerato che il torrente non è-ra ricco d’acqua, se non nel periodo
invernale e specialmente durante i temporali, ma durante la bella stagione come
facevano? Molto probabilmente veniva
usata la forza del vento. Molti indizi mi inducono a pensare che un particolare
ingranaggio a trazione eolica ad asse e pale verticali, muovesse le macine
senza la forza dell’acqua, anzi riusciva a sollevare anche la poca acqua
residua e stagnante nel letto del torrente per motivi irrigui.
La forma della torre è
simile ai mulini afgano o persiano che dir si voglia.
Di straordinaria
semplicità, non richiedeva venti forti e
costanti, in quanto poteva funzionare anche con lievi e mutevoli brezze,
il meccanismo lo possiamo
immaginare simile ad una sorta di giostra di pertiche legate tra di loro ed
intorno ad un albero verticale centrale.
Quando il vento portava l’acqua di Flavio Russo
L’uomo imparò a sfruttare la forza delle
correnti atmosferiche da tempo molto remoti, come dimostra, innanzitutto, l’elaborazione
delle vele per la propulsione delle imbarcazioni. Un’applicazione che ebbe
molti “figli”, tra cui il mulino, uno strumento diffuso già al tempo del grande
Hammurabi.
Sebbene si sia portati a collocare l’avvento del mulino
eolico nel XII secolo, sui verdi prati olandesi per drenare l’acqua,
reputandolo perciò di gran lunga più recente di quello idraulico, la sua
antecedenza, invece risulta più remota. Dal punto di vista cronologico, infatti,
la girante posta in rotazione dal vento debutto alle soglie della storia in
Mesopotamia, dove, paradossalmente, non fu impiegata per prosciugare i terreni,
ma per irrigarli.
Alle spalle dell’invenzione c’è la vela, nella sua
connotazione più arcaica: una stuoia di canne, fissata a un pennone orizzontale
sospeso a un albero, mantenuto a squadro rispetto alla chiglia mediante varie
funi, per sfruttare in pieno il classico vento in poppa. Progresso nautico che
si reputa compiuto tra il VI e il IV millennio a. C., sebbene trovi riscontro
esplicito solo dagli inizi del II in alcune raffigurazioni egizie.
Sostanzialmente coevo è l’utilizzo di analoghe vele a scopo
irriguo, come forse propose, e parzialmente attuò il grande Hammurabi, che
regnò tra il 1792 e il 1750 a .
C., avendo constatato l’esiguità del dislivello tra il Tigri e l’Eufrate e i
campi circostanti e la rilevanza dei venti dominanti. Traccia di tale
iniziativa si ravvisa già nel preambolo del suo codice, in cui si vanta di
essere: “il signore che ha decretato nuova vita per Uruk, portando acque
abbondanti ai suoi abitanti.
A chi ruba la
ruota…
Hammurabi, naturalmente, non si riferiva soltanto all’acqua
da bere, ma a quella per irrigare, che rozze macchine sollevavano dai canali
riversandola nei campi coltivati. Gli eventuali dubbi sulla loro esistenza sono
fugati dalla norma 259 dello stesso codice, che così recita: “qualora qualcuno
rubi una ruota per l’acqua del campo, pagherà cinque sicli in denaro al
proprietario”.
Che non si tratti di un semplice shaduf, ma di un congegno rotante lo conferma la norma 260, che
così prescrive: “se qualcuno rubi uno shaduf
(usato per trarre acqua dal fiume o dal canale) o un aratro/ pagherà tre sicli
in denaro”. Sia per la contiguità delle norme, sia per la divaricazione delle
penali, sembra dunque logico concludere che ruota per l’acqua e shaduf fossere diversi, inducendo a
ravvisare nella prima un archetipo della coclea attribuita ad Archimede,
notoriamente già impiegata lungo il Nilo intorno al VII secolo a. C., dove
peraltro lo è ancora.
Una pompa idraulica ideale in Mesopotamia, poiché poteva assicurare
con poco sforzo una portata cospigua con scarsa prevalenza: fondamentale la
prima, dato che occorreva molta acqua per l’irrigazione, compatibile la seconda
per la ricordata esiguità del dislivello tra fiumi e campi.
Semplice, ma
efficace.
Non siamo in grado di stabilire quale fosse il congegno
eolico destinato a far girare le ruote di Hammurabi, di certo sappiamo che in
quella stessa regione, proprio intorno al VII secolo a. C., comparve una
singolare girante eolica di razionale concezione, che per la storia è il più
arcaico motore primario. Vari indizi inducono a crederla simile agli appena più
recenti mulini eolici cinesi ad asse e pali verticali, per uso irriguo. Di
straordinaria semplicità, non richiede venti forti e costanti, in quanto può
funzionare anche con lievi e mutevoli brezze, e la si deve immaginare simile a
una sorta di giostra di pertiche legate fra loro e intorno a un albero
verticale centrale.
In dettaglio, due telai orizzontali uguali, superiore e
inferiore, di otto o sei lati, di 3-4
m . circa ciascuno: da ogni loro spigolo partono un
listello radiale, che va a incastrarsi nell’albero, e dei montanti verticali,
di 3 m .
circa, che uniscono i telai. A ogni montante è fissata una stuoia, in grado di
orientarsi, così da offrire da un lato la massima resistenza aerodinamica e la
minima di quello opposto, grazie alla disposizione obliqua delle pertiche del
telai inferiore, che gli impediva di disporsi come altrettante banderuole nel
vento, annullandone la spinta.
Col tempo, per incrementare la robustezza, si costruiranno
giranti di diametro via via minore e vele di altezza sempre maggiore, finendo
per innestarle direttamente all’albero. Questo divenne così il rotore di un’antesignana
turbina, che lasciava esposte al vento solo poche pale, mediante una stretta e
lunga feritoia lasciata nella torre che lo conteneva, tecnicamente definito statore, criterio informatore
tutt’ora adottato per convogliare il fluido sulle pale delle turbine.
Emblematicamente si
rintracciano nel sancrito l’aggettivo tur-as
e il verbo tur-ami col significto
rispettivo di “veloce” e di “affrettarsi”. Implicito il senso dinamico della
radice tur, recuperata dal latino
prima e dall’italiano poi, acquistando un significato più specifico di moto
veloce e verticoso, quindi rotatorio, precipuo dei cicloni o dei gorghi: turbine, tornado, perturbazione e, per analogia
figurata turbamento
come improvviso e radiale cambiamento dello stato d’animo. Ma anche turbante, per la striscia di
tessuto fatta girare intorno al capo.
L’archetipo dell’ampia famiglia di mulini ad asse verticale,
il mulino afgano o persiano che dir si voglia, consta di un albero munito di varie
stuoie a raggiera fungenti da pale, alle cui estremità inferiore è incastrata e
resa solidale una macina orizzontale di pietra, posta sopra un’altra identica
fissa.
Otto ali e due
pilastri.
La rozza girante sta inserita in un apposito edificio, sulla
cui sommità due travi ravvicinate originano un rudimentale ceppo, per
l’estremità superiore dell’albero, garantendone l’assetto verticale e la
rotazione. Un’antichissima fonte così li descriveva: “Hanno otto ali e stanno dietro due pilastri tra i quali il vento deve
spingere un cuneo. Le ali sono montate verticalmente su un palo verticale la
cui estremità inferiore muove una macina che ruota sopra un’altra sottostante”.
I pilastri formano, in realtà l’accennata fessura, larga poco
meno della stuoia, ma di pari altezza, attraverso cui penetra il vento, tra
quelle vallate di direzione costante, gran parte dell’anno. Un’altra fonte più
recente, infatti, precisa che “nell’Afghanistan tutti i mulini a vento (…) sono
mossi dal vento del nord e quindi orientati in questa direzione. Tale vento è
molto costante in quel paese e soffia con maggior costanza e più forza durante
l’estate. Applicate ai mulini a vento vi sono delle file di persiane che
vengono chiuse o aperte per trattenere o immettere il vento. Infatti se questo
è troppo forte la farina brucia e diventa nera e la stessa macina può
surriscaldarsi e guastarsi”.
Il descritto mulino eolico a orientamento fisso, non si
avvaleva di alcun cinematismo, né di alcun riduttore di giri, peculiarità che,
nonostante l’infimo l’infimo rendimento, ne spiega l’eccezionale longevità,
forse la maggiore nell’ambito della storia tecnologia.
I mulini eolici occidentali hanno la girante ad asse
orizzontale o lievemente obliquo, con un evidente vantaggio energetico; essendo
infatti, tutte le pale investite insieme dal vento imprimono tutte un’identica
spinta sull’albero, la cui somma determina una resa di gran lunga superiore
all’afgano. A differenza di quest’ultimo, però, proprio per poter essere sempre
esposta in favore del vento che soffia di volta in volta, tale girante ha
bisogno di essere orientata, a mano o con un organo meccanico detto timone, in
sostanza un’enorme bandoliera.
La trasformazione, che anche in questo caso rimonta
all’antichità, trova esplicita menzione in un trattato di Erone (I secolo d.
C.), e, per la sua indubbia autorità assume, valore dirimente. Descrivendo il
suo organo pneumatico, si sofferma sulla ruota a palette impegnata per produrre
l’aria compressa necessaria al suo funzionamento, simile a quella di un’odierna
elettroventola. Per lui, però, somigliava a un anemourion, una macchina ritenuta talmente nota ai suoi lettori, da
non richiedere ilteriori spiegazioni: per noi, invece, solo l’etimologia ci è
di aiuto per identificarla e, riconoscendosi nel vocabolo la parola “vento”, il
suo senso complessivo era di una macchina azionata dal vento, forse un mulino
ad asse orizzontale.
Mulino Fenicio sta per orientale e ancora una volta ci troviamo a sottolineare una caratteristica “saracena”. Il mulino è infatti chiamato “fenicio” per una particolare tecnica di costruzione che sarebbe stata ideata nell’antica terra dei Fenici, nel Medio Oriente e introdotta successivamente per contatto ed imitazione in Spagna e in Italia. Per quanto ci è dato sapere, sono rimasti soltanto altri due esempi di tali mulini in Europa, uno appunto in Spagna, l’altro in Sicilia; dei quali non è dato sapere l'ubicazione ma che dicono entrambi in rovina, un'altro si trova in Liguria a Verezzi, in provincia di Savona, che è cilindrico ed esternamente è in buono stato. è in buono stato.
La particolarità di questo tipo di mulino a vento consiste nell’avere le pali motrici non all’esterno, ma all’interno della torre, così da poter funzionare con qualsiasi vento, che potesse penetrare attraverso l'asola che lo incanalava verso le pale predisposte per quella determinata direzione, in modo che il congegno molitorio potesse funzionare sempre e comunque; a meno che non ci fosse calma assoluta.
Il mulino era dotato, come già detto di asole, feritoie costruiti in modo tale da convogliare l’aria all’interno dove le pale rotanti erano vele di tela robusta o di pelli., o stuoie di canne legate fra loro, con la stessa tecnica delle vele quadre delle primitive imbarcazioni, fissate ad un pennone superiore sostenuto da una fune che consentiva l'orientamentoLe aperture delle finestre erano opportunamente regolate in modo da ottenere il migliore rendimento del mulino.
![]() |
sezione esplicativa di un mulino fenicio |
![]() |
schema planimetrico esplicativo del funzionamento delle pale del mulino |
Tale strategia permetteva un funzionamento
costante del mulino, considerando che difficilmente a Caltanissetta, e in
particolare nella zona di Sallemi, vi è assenza assoluta di vento. A questo
punto questa torre è da considerare un unicum assoluto in quanto oltre alla
colombaia, (già unicum) è anche l'unica testimonianza del cosiddetto mulino
fenicio, risulta il meglio conservato tra i pochi altri dello stesso tipo che,
attualmente, ancora esistono in Europa.
Non capisco perchè ancora la
Soprintendenza e gli organi competenti non siano intervenuti a bloccare i
lavori, vincolarlo, per evitare lo scempio, purtroppo già in corso, della
demolizione di una parte del mulino e la costruzione di un nuovo palazzo, con
molti interrogativi sulla legittimità, come ampiamente descritto e dimostrato nelle parti
precedenti.
continua.
2 commenti:
Come sempre caro architetto apprezzo molto quanto letto, ma sono deluso di sapere che in Italia esistevano due mulini fenici di cui uno a Verezze(Liguria) e l'altro a Caltanissetta (Sicilia). Ho cercato Verezze su google, ed ho appreso che per i Liguri quella costruzione è di grande valore storico:( Presso Crosa esiste una costruzione di grande valore storico, il "mulino fenicio". Fenicio perché si basa su una tecnica che pare di origine medio orientale, introdotta poi in Italia meridionale e in Spagna.In Europa esistono solo altri due esempi di mulini, uno in Sicilia e uno in Spagna; dei tre, quello di Verezzi è il meglio conservato. La particolarità di questi mulini a vento è che le pale non erano all'esterno, ma all'interno del torrione, poste in prossimità di feritoie aperte con lo scopo di convogliare l'aria verso le pale).E'assurdo scoprire di avere delle opere d'arte a casa propria e non essere in grado di farle valorizzare, di risvegliare l'interesse di evitarne la distruzione... sono deluso di vivere in una città di ignoranti come la nostra.
caro claudio ho letto il tuo commento, e capisci che la mia delusione è ancora più grande considerato, come ben sai di cercare di salvare il monumento nella sua totalità. Non è stato possibile, malgrado gli imbrogli siano palesi la soprintendenza e gli altri organi istituzionali e giudiziari hanno e continua a fare orecchie da mercanti. Questa torre fenicia non è quella che viene indicata leggendo Verazze, bensì è la seconda in sicilia, perchè come detto la prima non so dove sia e in quale condizioni.questa è una città che continua a lamentarsi perchè, secondo ...., non c'è niente, e si mette non i prosciutti sugli occhi ma l'intero bove. Non vuol vedere, gli interessi debbono essere di altro tipo e nessuno deve scardinarli. ciao avremo modo di parlare a quattrocchì
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